Massimo Morsello
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 L'Ordine del Tempio (1119-1307)

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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:28 pm

Le Origini dei Templari - PARTE SECONDA -

Leggere la lista dei partecipanti fa certamente pensare: la presenza di un legato del Papa, dell’importanza del cardinale Mattia di Albano, dimostra che anche papa Onorio II era particolarmente interessato agli avvenimenti. Pur non disponendo di prove certe, appare plausibile che Onorio II abbia seguito l’evoluzione dell’Ordine con molto interesse, già prima del Concilio. Inoltre con Stefan Harding (abate di Citeaux) e Hugues di Màcon (Abate di Fontigny) vi presero parte i più importanti dignitari dei Cistercensi, il che dimostra ancora di più quale fortissima influenza esercitasse questo Ordine monacale sugli ideali dei Templari. Naturalmente era presente anche Bernardo, colui che incorpora come nessun altro gli ideali dei Cistercensi che rifiutavano potere e ricchezza della Chiesa e davano valore a una vita lontana dal mondo quale strada maestra per raggiungere la salvezza dell’anima. Bernardo, inoltre, fu protagonista decisivo per l’organizzazione della Seconda Crociata (1147-1149) e seppe influenzare i pontificati di Innocenzo II ed Eugenio III. Con l’ingresso di Bernardo si decise, in ogni caso, il destino dell’Ordine dei Templari, infatti, già in precedenza, l’entrata nella compagine dei Templari dei ricchi e potenti Conti di Champagne aveva conferito loro quella credibilità di cui avevano estremo bisogno.

Voglio fare notare che la figura di monaco-guerriero istituzionalizzata nel Concilio di Troyes grazie all’opera di Bernardo, fu una vera e propria rivoluzione. Bernardo riuscì magistralmente a scavalcare la tradizionale categorizzazione sociale, formata dai Bellatores (i combattenti) gli Oratores (chi pregava) ed i Laboratores (i lavoratori), riunendo le funzioni di preghiera e combattimento in un’unica figura. Mentre i tradizionali monaci pronunciavano i voti di obbedienza, povertà e castità, i Templari aggiungevano ai precedenti quello di prendere le armi per il Signore. Probabilmente i primi Templari soffrirono un certo senso di inferiorità rispetto ai “cugini” cistercensi, proprio per la loro doppia natura non “tradizionale”.

L’Elogio della nuova milizia

Riporto parte del “De laude novae militiae” presentato da Bernardo di Chiaravalle nel corso del Concilio di Troyes del 1129, in una traduzione di Franco Cardini, tratta da “La nascita dei Templari”, 1999.

« Ma quale è dunque il fine e il frutto di questa non dirò “milizia”, ma piuttosto “malizia” mondana, se l’uccisione pecca mortalmente e l’ucciso muore eternamente? Invero, a dirla con l’Apostolo, “chi ara deve arare con speranza, e chi trebbia con speranza di avere parte del frutto” (I Cor., 9,10). Che cos’è dunque, o Cavalieri, questa incredibile passione, questa intollerabile pazzia di guerreggiare con tante spese e tante fatiche senza alcun altro guiderdone che la morte o il peccato? Coprite di seta i cavalli e rivestite di non so che genere di straccetti colorati le corazze; dipingete le lancie, scudi e selle; ornate d’oro, d’argento e di gemme le briglie e gli speroni; e in tanta pompa correte, con vergognoso furore e impudente stupidità, alla morte.
Sono insegne militari, queste, o femminei ornamenti? Forse che il ferro del nemico avrà paura dell’oro, rispetterà le gemme, non potrà attraversare la seta? In fondo, e voi stessi lo sperimentate di continuo, al combattente sono soprattutto necessarie tre cose: che sia abile, alacre e circospetto nel guardarsi, rapido nel cavalcare, pronto nel ferire. Voi al contrario vi curate come donne i capelli fino a disgustare chi vi vede, vi coprite con sopravvesti lunghe e drappeggiate che vi impicciano i movimenti, seppellite le tenere e delicate mani in ampi e comodi guanti… Né tra voi sorge quasi mai guerra o contesa che non sia originata da un moto irrazionale d’ira o da un vuoto desiderio di gloria o dall’avidità di ricchezze terrene.

Certamente, uccidere o morire per motivi del genere non è cosa da fare con tranquillità. I cavalieri di Cristo combattono invece le battaglie del loro Signore e non temono né di peccare uccidendo i nemici, né di dannarsi se sono essi a morire: poiché la morte, quando e data o ricevuta nel nome di Cristo, non comporta alcun peccato e fa guadagnare molta gloria. Nel primo caso infatti si vince per Cristo, nell’altro si vince Cristo stesso: il quale accoglie volentieri la morte del nemico come atto di giustizia, e più volentieri ancora offre se stesso come consolazione al Cavaliere caduto. Il Cavaliere poi, posso affermarlo, uccide sicuro e muore più sicuro ancora: giova a se stesso quando muore, a Cristo quando uccide. Non è infatti senza ragione che porta la spada: egli è ministro di Dio in punizione dei malvagi e in lode dei buoni. Quando uccide il malvagio egli non è “omicida”, ma – per così dire – “malicida”, ed è stimato senza dubbio vindice di Cristo su quelli che fanno il male a difensore dei cristiani. E quando muore, si sa che egli non è perito, ma è – piuttosto – giunto alla meta. La morte che egli dospensa è infatti un guadagno per Cristo: quella che egli riceve è il guadagno suo personale. Nella morte del pagano il cristiano si gloria, perché Cristo è glorificato. Nella morte del cristiano si dimostra quanto magnanimo sia stato il re che ha ingaggiato il Cavaliere »

Lo sviluppo

Dopo il Concilio di Troyes del 1128, in pochi anni, l’Europa cattolica assicurò ai Templari un consenso forte e quasi universale. La classe feudale sostenne fortemente l’Ordine: in Spagna il re Alfonso d’Aragona assegnò in eredità ai Templari un terzo del proprio regno. Il tornaconto era rappresentato dalla possibilità di utilizzare i Templari nella lotta iberica contro i mussulmani.

La bolla “Omne datum optimum” del 1139, di papa Innocenzo II, concesse all'Ordine la totale indipendenza, compreso l'esonero dal pagamento di tasse e gabelle, oltre alla direttiva secondo la quale l'Ordine non doveva rendere conto a nessuno del suo operato, tranne che direttamente al Papa. Diventò così un organismo a parte con una posizione molto privilegiata.

A Parigi, nel 1147, si tenne un capitolo generale in presenza del papa e del re, in cui l’Ordine ricevette migliaia di proprietà terriere grandi e piccole, in Inghilterra, Francia, Spagna e poi in tutta Europa.

Questa rapida espansione richiese una vasta riorganizzazione per l’amministrazione delle proprietà e l’invio di denaro e rifornimenti in Terrasanta. La necessità di trasferire grosse quantità di denaro conferì ai Templari un nuovo ruolo: quello di banchieri, non solo per essi, ma anche per conto terzi. Dal momento che in Europa non esisteva ancora un sistema di deposito bancario, l’uso dell’Ordine del Tempio per il deposito e la trasmissione di fondi dette ai Templari una nuova ed imprevista importanza agli occhi dei principi feudali.

Non si devono sottovalutare, comunque, gli ingenti introiti che giungevano all’Ordine grazie alla generosità dei fedeli, i quali garantivano entrate sicure attraverso la donazione di proprietà e le sottoscrizioni volontarie di confraternite. I Templari offrivano, a coloro che contribuiva alla causa crociata, la posizione di “fratello del Tempio”, con privilegi significativi.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:30 pm

Le Origini dei Templari - PARTE TERZA ED ULTIMA-

Le battaglie

I Templari, tra i crociati, si sono sempre distinti per la loro spietatezza e l’incredibile determinazione in battaglia. La disciplina alla quale erano sottoposti era durissima. Il volere del singolo Cavaliere veniva del tutto annientato, a favore della volontà del gruppo e della causa crociata. Una frase di San Bernardo rispecchia fedelmente lo spirito Templare: ”Essi non chiedono quanti siano i nemici, ma in che direzione si debba andare alla carica”. I “diavoli rossi”, così chiamati dai musulmani, erano talmente temuti che venivano uccisi non appena fatti prigionieri. Ecco come lo stesso Saladino parla dei Templari fatti prigionieri:

”Voglio purgare la Terra da questi guerrieri immondi che non rinunciano mai alla loro ostilità, non rinnegano mai la loro fede e non saranno mai utili come schiavi”.

Saladino sembrava dimenticare la sua proverbiale magnanimità di fronte ai monaci-guerrieri.
Rivendicavano con orgoglio il privilegio della prima linea, pagando spesso con il sangue questo onore. Furono gli ultimi a lasciare la Terrasanta e nell’assedio di Acri non si arresero mai, anche quando la difesa della fortezza era chiaramente senza speranza, i Cavalieri combatterono fino alla morte. In due secoli i Templari lasciarono sul terreno dei Regni Cristiani d’oriente oltre 12.000 cavalieri.

L’unità militare base della cavalleria Templare era la lancia, o concroi, formata da 20 o 30 Cavalieri, comandata da un Commendatario. La prima fila era composta dai Cavalieri, dietro di essi i sergenti a cavallo disposti su due file seguiti dagli scudieri. Il Commendatario era riconoscibile dal pennoncino, sulla lancia, di colore bianco-nero utilizzato per guidare i Cavalieri a lui affidati anche verso obiettivi diversi da quelli del resto della formazione.

I mussulmani sapevano bene che una carica di Cavalleria pesante poteva provocare un panico tale da riuscire a rompere le righe della loro fanteria. Avevano quindi imparato ad utilizzare la tecnica della guerriglia. Attacchi alle avanguardie e alle retroguardie dell’esercito Crociato, imboscate e veloci incursioni con arcieri a cavallo erano spesso utilizzate. Questo rendeva i mussulmani, agli occhi delle forze cristiane, dei “felloni”, perché non all’altezza di affrontare il nemico frontalmente. I Templari furono molto utili perché ottimi conoscitori dei luoghi, permettendo di evitare regioni adatte alle imboscate. Alcuni studiosi affermano che i Templari furono tra i primi ad utilizzare i Turcopoli, militari indigeni, per lo più arcieri a cavallo, utilizzati per tenere lontano la cavalleria leggera araba, punto di forza della guerriglia musulmana.

Crociati e mussulmani: tecniche militari diverse

La prima crociata ha visto una netta supremazia militare delle forze crociate, come dimostrano le numerose conquiste in terra d’outremar.

In seguito, con la fondazione dei principati latini e la ripresa dell’offensiva musulmana, i crociati si trovarono a dover affrontare una situazione del tutto inedita, in quanto costretti a difendere dei territori poco sicuri contro un avversario dotato effettivi ben superiori.

Senza rinunciare all'armento tradizionale, i cavalieri franchi cercarono tuttavia di adeguare i loro modi di combattere alle nuove condizioni. Nelle battaglie campali godevano sempre di una netta superiorità, grazie alle pesanti armature, alla potenza dei cavalli e all'impeccabile coesione delle loro manovre.

Quando una massa di cavalieri tutti equipaggiati di ferro caricava al galoppo, non c'era formazione al mondo che fosse in grado di reggerne la straordinaria forza d'urto.

La mobilità e l’uso delle armi da lancio costituivano invece i due punti forti degli eserciti musulmani, i quali avevano imparato dai Turchi una nuova tecnica di combattimento, basata sull’impiego di veloci arcieri a cavallo. Agli inafferrabili tiratori selgiuchidi, i crociati opposero contingenti di arcieri e balestrieri a piedi, al riparo dei quali i cavalieri attendevano di potersi lanciare all’assalto del nemico. Questa tecnica spesso permetteva ai crociati di avere la meglio sulle forze (quasi sempre molto più numerose) musulmane.

Non sempre però i crociati avevano successo.

A Hittin, per esempio, il Saladino fece eseguire alle sue truppe una manovra che vanificò la pesante carica dei cavalieri di Raimondo di Tripoli: un attimo prima dell'impatto con la cavalleria franca, le file musulmane si aprirono d'un colpo, in modo da lasciare passare l'ondata dei cavalieri di Raimondo, costretti ad infilarsi in una gola angusta fino al villaggio di Hittin e di la sino al lago di Tiberiade. Almeno loro si salvarono, mentre l'intero contingente guidato da Guido di Lusignano fu massacrato o catturato dal Saladino.

La costruzione di opere fortificate in tutto il territorio consenti ai crociati di opporsi con successo ai musulmani: all'interno di queste imponenti fortezze, infatti, essi erano soliti attendere la smobilitazione delle truppe nemiche, incapaci di rimanere sul teatro di guerra più di alcune settimane. Principi e baroni si valsero anche del possente aiuto degli ordini religioso-militari, costruttori e guardiani di una fitta rete di fortezze nelle zone interne della dominazione franca, mentre i baroni conservarono in generale il diretto controllo delle città costiere.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:30 pm

CASTEL DEL MONTE – CHARTRES

Sembra incredibile ma molti monumenti del passato sono stati costruiti guardando il cielo anche se l’uomo fino a 200 anni or sono non aveva i mezzi per volare. Il sole, la luna e le stelle hanno ispirato architetti sapienti che, distanti tra loro anche molti secoli, hanno disposto Cattedrali, castelli, tombe e piramidi secondo logiche precise.
Ed è grazie a loro che oggi possiamo parlare delle incredibili e numerose relazioni che legano tra loro pietre e stelle.
Immaginate di chiedere ad un uomo del Medioevo quale sia, per lui, la città santa per antonomasia. Vi risponderà: Gerusalemme. E quale città, invece, possa essere considerata simbolo del potere politico, del potere terreno. Vi risponderà: Roma. Bene. Prendete una cartina geografica e unite queste due città: la linea passerà da qui, da uno dei più enigmatici castelli del mondo, posto su questa collinetta a 465 metri sul livello del mare: Castel del Monte.

Siamo in Puglia, nel comune di Andria, tra Foggia e Bari. Territori che nel 1.200 facevano parte del territorio del Sacro Romano Impero, guidato all’epoca da uno dei sovrani più famosi e controversi della storia: Federico II di Svevia, soprannominato “STUPOR MUNDI”, cioè la «Meraviglia delle genti».

Erede di un casato tedesco, nato in Italia ed erede della tradizione romana, Federico II era attratto dal mondo orientale. Ma non era l’unica contraddizione di questo straordinario imperatore che dominò la scena nella prima metà del 1.200: benché fosse a capo del Sacro Romano Impero fu scomunicato due volte e fece guerra al Papato. Non solo: la sua corte, raro esempio di magnificenza, era ricca di poeti e maghi, uomini di scienza e alchimisti. Insomma, Federico II incarnava tutte le contraddizioni e le influenze del suo tempo…
Fu Federico II a volere questo Castello. Non ci sono documenti certi sulla costruzione di Castel Del Monte ma si pensa che sia stato costruito tra il 1230 e il 1240 .Ma davvero Castel del Monte può essere chiamato “Castello”?

Alcune enciclopedie lo indicano come esempio di architettura militare, altre come un punto di partenza per le battute di caccia che Federico II amava al punto di scrivere un libro sull’«Arte di cacciare con gli uccelli». Ma sì è osservato che:

a) Come Castello Militare, Castel del Monte è un controsenso. Non ha alcuna utilità strategica, non ha fossati difensivi, spalti, ponti levatoi. E anche al suo interno non c’è nulla per ospitare una guarnigione: addirittura non ci sono cucine e cantine per conservare le provviste!

b) Lo stesso discorso vale per l’ipotesi “Castello per la Caccia”: i sontuosi arredi, la raffinatezza delle decorazioni, la struttura stessa del Castello sembrano contraddire questa idea. Ma perché Federico II volle che qui si costruisse un Castello così particolare?
Molti indizi portano a ritenere che Federico II con Castel del Monte abbia voluto creare un capolavoro di architettura esoterica. Niente qui è a caso a cominciare dalla collocazione. Tra Castel del Monte e la Piramide di Cheope c’è più o meno la stessa distanza che passa tra lo stesso Castel del Monte e la cattedrale di Chartres, in Francia. Una coincidenza veramente curiosa se si pensa ai tempi in cui fu realizzata e soprattutto se riflettiamo che tra i tre monumenti Castel del Monte è stato l’ultimo ad essere realizzato.
Ma Castel del Monte non rivela sorprese solo ad essere guardato dall’alto o da fuori. Tra gli argomenti più convincenti a favore della tesi che lo vuole essere un edificio simbolico c’è la sua stessa struttura: Castel del Monte è un vero e proprio monumento al numero Otto.
La pianta del castello è ottagonale, ci sono otto torri a loro volta a pianta ottogonale. Su ciascuno dei due piani sono disposte otto sale le cui finestre danno sul cortile interno ottagonale al cui centro, in origine, era una vasca anch’essa ottagonale.
Sul portale d’ingresso poi e all’ingresso della varie sale diversi tipi di fiori sono raffigurati in gruppi di otto: quadrifogli, vite, girasoli, acanto, fico… Petali a gruppi di otto sono anche sui capitelli delle sale e altri particolari della costruzione, ripresentano in modo ossessivo il numero otto. Per la tradizione esoterica e simbolica la figura geometrica dell’ottagono ha il carattere della mediazione tra terra e cielo. Anticamente i battisteri venivano realizzati proprio a pianta ottagonale per sottolineare il significato del battesimo, prima unione tra il neonato e Dio. Senza contare che l’otto rovesciato simboleggia l’infinito.

Ma ci sono altre cose che collegano il numero Otto a Federico II, incoronato ad Aquisgrana in una cappella ottagonale e che si fece seppellire con un anello (la cosa si scoprì solo alla fine del 1.700 quando la sua tomba nella Cattedrale di Palermo venne aperta per la prima volta) formato da un grosso smeraldo circondato da otto petali d’oro… Ma il numero otto non è l’unico numero ricorrente a Castel del Monte. Alcuni studiosi hanno scoperto numerosi punti di contatto tra Castel del Monte e la Grande Piramide. Soprattutto è il numero 111 – che in cubiti, l’unità di misura degli egizi, risulta essere uno dei numeri chiave della Piramide di Cheope insieme alle sue due parti: 74 e 37. I numeri 111, 74 e 37 li ritroviamo anche a Castel del Monte. Ecco due esempi:

a) la somma della larghezza delle sei facce visibili di ciascuna delle otto torri è pari a 37 cubiti egizi.
b) Così come la somma della lunghezza delle pareti del cortile è pari a 111 cubiti egizi

Federico II, che ebbe molti contatti con la cultura dell’Oriente, non solo utilizzò gli stessi numeri simbolici cari agli egizi ma si ispirò allo stesso metodo costruttivo per cui, in giorni particolari, le ombre proiettate dal sole indicano punti precisi. A Giza è l’ombra della Piramide stessa, a Castel del Monte sono le ombre delle varie torri.
Ma non basta: anche la Costellazione di Orione, così importante per gli egizi, torna anche a Castel del Monte. Infatti a mezzanotte del 26 dicembre la stella di Sirio è sull’asse nord-sud di Castel del Monte.
E il 26 dicembre non è un giorno qualunque: è il giorno in cui nacque (nel 1194) Federico II. L’Imperatore visse 56 anni: un numero (multiplo di otto) che emerge anche dalla somma delle facciate esterne del Castello: otto muri perimetrali e 6 facciate per ognuna delle otto torri ottagonali. 8+46= 56.
Ma, alla luce di tutto questo, a che doveva servire Castel del Monte?
Secondo alcuni doveva custodire il Sacro Graal che l’Imperatore aveva avuto dai Templari, secondo altri era un vero e proprio laboratorio alchemico dove cercare la formula per la vita eterna o, almeno, per riuscire a tramutare il vile metallo in oro. Ma si tratta solo di ipotesi: questo segreto Castel del Monte se lo tiene ancora ben stretto.
Federico II muore nel 1250: la somma di queste quattro cifre dà nuovamente otto. E poco prima di morire l’Imperatore chiese di indossare il saio dei frati cistercensi. Un ordine, quello dei cistercensi, che aveva costruito, nei decenni precedenti, tra le altre cose, la Cattedrale di Chartres.

Costruita dai monaci cistercensi, la Cattedrale di Notre Dame a Chartres è uno dei capolavori dell’architettura gotica. La Cattedrale è stata costruita a partire dal 1135 e terminata pochi anni prima che venisse posta la prima pietra di Castel del Monte (1240 circa)
Quindi il curioso allineamento tra Chartres, Castel del Monte e la piramide di Cheope è stato voluto da chi ha voluto erigere l’ultima di queste costruzioni. Cioè Federico II con Castel del Monte.
Ma questo vuol dire che, probabilmente l’Imperatore conosceva – grazie ai monaci cistercensi – i segreti che la grande cattedrale francese celava. Segreti che, ancora una volta, sembrano richiamare la geometria sacra ben conosciuta dagli architetti dell’Antico Egitto
E quei segreti – FORSE - erano stati fissati nella pietra, nel nord della Francia, alcuni secoli prima. Infatti, l’attuale cattedrale è stata eretta sul luogo dove in precedenza sorgeva un altro tempio, risalente, pare, all’800 d.C.
Ma prima di affrontare nel dettaglio le relazioni che legano Chartres alla Grande Piramide, cambiamo punto di osservazione e guardiamo la Francia del Nord dall’alto. Il nostro scetticismo di uomini del Duemila sta per scontrarsi contro una coincidenza apparentemente inspiegabile…
Se alcuni studiosi hanno cercato di vedere le cose dall’alto, altri hanno preferito concentrarsi sull’interno delle costruzioni, cogliendo alcune importanti analogie: ad esempio se a Castel del Monte – tra le altre cose – il numero 111 torna anche come perimetro in cubiti egizi del cortile interno, (per l’esattezza 111/11) lo stesso numero lo ritroviamo a Chartres sia pure in metri: la navata del tempio è lunga 74 metri (centimetro più, centimetro meno) mentre il coro, che la interrompe appunto dopo 74 metri, è lungo 37 metri. 74+37 dà, appunto 111.
Ovviamente il 111 può essere ottenuto in molti modi diversi (110 + 1; 100 + 11; 97 + 14…). Ma l’indizio che la presenza di 74 e 37 non è casuale è data dal fatto che 111: 3 dà 37 mentre 37 x 2 dà 74. Insomma, 37 e 74 sono, rispettivamente, un terzo e due terzi del numero sacro 111.
E’ poi interessante notare che sempre 37 metri è alta la volta della Cattedrale e 37 metri è profondo il cosiddetto pozzo dei “Santi Forti”, posto sotto la Cattedrale.

Ma perché uomini di tanto tempo fa dovevano diventare matti a riprodurre, sotto varie forme, alcune proporzioni fisse? Perché – a livello simbolico – riprodurre forme, misure e ritmi cosmici negli edifici sacri voleva dire cercare di riprodurre in Terra e in piccolo la grande armonia celeste. Insomma, dei piccoli MICROCOSMI che dovevano riprodurre e rappresentare il MACROCOSMO e, con esso, la perfezione di Dio.
Si e’ parlato di “forme”, “misure” e “ritmi” e abbiamo visto attraverso l’uso di figure geometriche precise e del ricorrere di numeri e proporzioni cari alla geometria sacra. Ma ci sono anche i “ritmi” dell’universo. Come venivano rappresentati questi “ritmi”?
Ad esempio, attraverso lo sfruttamento della luce del sole in giorni precisi dell’anno. La Piramide di Cheope ha alcuni condotti che secondo alcuni sono orientati in modo tale da far entrare all’interno raggi di sole in giorni particolari. Ugualmente, l’ombra proiettata dalla Piramide in occasione del solstizio d’inverno rispetterebbe precise proporzioni.
Ugualmente le torri di Castel del Monte proiettano ombre precise in certi giorni: in occasione di quello d’autunno, a mezzo giorno, la lunghezza delle ombre corrisponde alla lunghezza del cortile interno, poi l’ombra si allunga fino ad indicare la circonferenza delle mura che anticamente circondavano il castello stesso; senza contare che in occasione del solstizio d’estate, un raggio di sole attraversa la finestra sopra il portale principale per andare a “colpire” un rettangolo posto su una parete del cortile interno.

E a Chartres? Qui, i frati cistercensi non sono stati da meno. Due esempi: il primo è indicato da tutte le guide. Nella vetrata di Sant’Apollinare esiste un foro attraverso il quale il 21 giugno, a mezzogiorno, un raggio di sole va a colpire una mattonella metallizzata.
Ma ancora più significativo il fatto che la mandorla del rosone occidentale, rappresentante la Vergine, ad agosto sia attraversata da un raggio di sole che va a proiettarsi sulla rosa posta al centro del labirinto che è in questa cattedrale, come nelle altre cattedrali francesi chiamate a rappresentare la costellazione della Vergine.
Oggi il fenomeno si verifica verso il 20 del mese ma si è calcolato che in origine il tutto accadeva il 15 d’agosto, il giorno dedicato alla Madonna. L’attuale scarto è dovuto al progredire del moto processionale dal Medioevo ad oggi.
Secondo alcuni ricercatori questo labirinto richiama, una volta di più, all’Antico Egitto. Infatti, ricorrerebbero in questo labirinto le complesse proporzioni che l’egittologo Schwaller de Lubicz ha individuato nei più importanti templi egizi;

Ma se anche così non fosse, questo labirinto è interessante per il fatto che il numero delle pietre pavimentali che lo compongono è uguale al numero dei numeri della gestazione e il fatto di percorrerlo rappresenta un percorso iniziatico: dall’esterno fino al centro si cresce spiritualmente fino a “nascere” a nuova vita. Non a caso questo labirinto era chiamato anche «Percorso di Gerusalemme».
Le allegorie si sprecano e hanno spesso al centro la figura della Vergine cui non a caso la cattedrale è dedicata: Notre Dame.
Una antica cronaca riferisce che qui, in età precristiana, esisteva un tempio consacrato dai druidi celti ad una Vergine che lì avrebbe partorito. Sembra che in quel tempio fosse custodita una statua venerata dalle popolazioni celtiche. Una statua che ricordava la figura di Iside. Una figura di colore nero. E in Europa sono almeno 500 le raffigurazioni di “Madonne nere”. Due di quelle madonne nere sono a Chartres…
Il viaggio iniziato a Castel del Monte ci ha portato molto lontano, non solo geograficamente. Antichi culti e antiche proporzioni sembrano essersi diffuse, nell’arco di molti secoli in aree ed epoche molto differenti.
A chi, come “Voyager” si spinge fino ai confini della conoscenza, toccava evidenziare alcune “coincidenze” veramente singolari. Per spingersi oltre bisognerebbe avere conoscenze e punti di vista che sono andati perduti. A noi sono restate solo alcune tracce. E se c’è stato un il filo che le collegava, quel filo finora ci è stato negato…
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:32 pm

PER LA GIOIA DEI PADRONI DI CASA:

I Templari in Puglia - PARTE PRIMA -

Aspetti generali

I Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone (Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis) ordine monastico-cavalleresco fondato in Terra Santa nel 1118 (o 1119) da Hugues de Payns (o Payens), nobile dello Champagne imparentato con i conti di Troyes, o da Ugo de’ Pagani, (come sostenuto da Domenico Rotundo in “Templari, misteri e cattedrali”) nobile dell’Italia meridionale originario di Nocera Inferiore, assieme ad altri otto cavalieri con lo scopo di proteggere i pellegrini, già dopo alcuni decenni dalla fondazione era presente in diverse regioni europee tra cui la Penisola italiana. Non si conosce con precisione quando l’Ordine del Tempio cominciò ad insediarsi nella nostra penisola: alcuni studiosi ritengono che il primo insediamento italiano fu a Messina nel 1131, altri nel 1138 a Roma presso S. Maria dell’Aventino, altri ancora a Milano a S. Maria del Tempio nel 1134. Dall’esame dei regesti diplomatici (cfr. Fulvio Bramato, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le Inquisizioni. Le Fonti., 1994 pag. 77) tuttavia emerge che nel 1130 la città di Ivrea assegnò ai cavalieri rossocrociati la chiesa di S. Nazario. Quindi sicuramente dopo il 1130, a circa dodici anni dalla costituzione, l’Ordine era già attivo in Italia. La prima testimonianza scritta che attesta la presenza dei Cavalieri nel regno di Sicilia risale al 1143 in una cronaca di Amando, diacono di Trani, che annota la partecipazione dei Templari ad una cerimonia religiosa.

La presenza dei Templari in Italia riguardava tanto le regioni settentrionali (ad esempio lungo la via Francigena, una delle arterie principali lungo le quali i pellegrini dalla Francia giungevano a Roma), quanto nelle regioni meridionali e, tra queste, un sicuro ruolo di preminenza fu svolto dalla Puglia per la posizione strategica occupata da questa regione da sempre crocevia tra Occidente ed Oriente. La causa dell’espansione dei Templari in Italia è da ricondurre a due motivazioni principali: la viabilità terrestre e la possibilità di adoperare i porti, in modo speciale quelli della costa pugliese (Manfredonia, Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Brindisi), per l’imbarco verso la Terra Santa dei pellegrini e dei Crociati ed il loro rientro, nonché per la spedizione di vettovagliamento e derrate alimentari alle guarnigioni templari in Outremer. L’espansione dell’Ordine (tra la seconda metà del XII secolo sino alla fine del XIII secolo) avveniva secondo una logica ben precisa tendente a privilegiare in primo luogo le località costiere per poi procedere verso l’entroterra. Secondo una stima approssimata per difetto, in Italia erano presenti almeno 150 insediamenti appartenenti all’Ordine del Tempio, di questi meno di un terzo si trovavano nella parte meridionale della penisola. La maggiore concentrazione di domus templari, molto probabilmente, era nella terra di Puglia ove, tra l’altro, aveva sede, presso S. Maria Maddalena a Barletta, il Maestro Provinciale da cui dipendevano tutte le case del Regno di Sicilia. Gli insediamenti dei Templari erano chiamati in Italia “precettorie” o “mansioni” a seconda della loro importanza, mentre in Francia prendevano il nome di “Commanderies”. Anche in Puglia l’espansione sul territorio delle case templari seguì la dinamica sopra esposta: dagli avamposti sul mar Adriatico i Templari cominciarono a penetrare all’interno del territorio pugliese e, in particolare, nelle fertili pianure della Capitanata nell’entroterra garganico e della Murgia in Terra di Bari.






Gli insediamenti

I cavalieri templari sovente alloggiavano in chiese minori, oratori, cappelle dipendenti da episcopi o cattedrali o in monasteri cui spesso erano annessi ospizi per l’accoglienza dei pellegrini. Grazie all’intervento dei pontefici il Tempio riusciva ad ottenere in concessione perpetua o temporanea immobili appartenenti ad Enti ecclesiastici dietro pagamento di un censo annuo. A volte erano gli stessi Templari a costruire delle chiese, anche se in Italia tale attività sembra essere alquanto ridotta. Ma è soprattutto alle donazioni e ai lasciti dei benefattori che il patrimonio templare vide una rapida crescita sia nelle città che nelle campagne. Le domus templari italiane raramente erano isolate e sovente facevano parte di ecclesiae, con le quali finivano per confondersi. Le domus erano anche costituite nell’ambito delle mansiones, composte nella forma più elementare da un ricovero per i viaggiatori ed una stalla per i cavalli. Le domus-mansiones erano collocate nei centri di transito o confluenza delle principali correnti di traffici e pellegrinaggi che percorrevano l’Italia. La funzione assistenziale era altresì svolta con le domus con annessi degli hospitales.

Caratteristica comune a tutti gli insediamenti urbani è la loro collocazione al di fuori della cinta muraria. Le precettorie a volte erano delle vere e proprie fortezze difese da torri e alte mura. Si trattava di complessi autosufficienti che comprendevano di norma: una cappella (in alcuni casi vi era una cappella ad uso esclusivo dei fratres ed un’altra aperta al pubblico), le scuderie, la selleria, le fucine, l’armeria, il mulino, la cantina, il forno, i depositi per conservare le derrate alimentari, l’infermeria e l’ospitale, il cimitero e il “vivarium” (pescheria) ove si allevavano pesci, molto consumati dai Templari durante i periodi di astinenza dalle carni precedenti il Natale e la Pasqua.

Nelle zone interne della Puglia sorgevano grandi casali e masserie appartenenti al Tempio con notevoli estensioni terriere che prendevano il nome di grancie o grangie. Spesso le terre venivano affidate a dei concessionari (conductores) che provvedevano a lavorarla dietro il pagamento di un canone d’affitto, mentre nelle comunità più numerose erano gli stessi cavalieri a dedicarsi all’attività agricola. Le colture più diffuse erano il frumento (soprattutto in Capitanata) e l’olivo (nella terra di Bari particolarmente rinomati erano le olive e l’olio della mansione di Molfetta come risulta da alcuni atti dell’epoca), non mancavano la vite, diffusa un po’ ovunque nella regione, e i legumi. Accanto alla coltivazione della terra era diffuso anche l’allevamento del bestiame: da carne, da latte e da lana. La Murgia offriva ricchi pascoli alle cospicue mandrie di buoi e bufali appartenenti al Tempio. La produzione agricola era destinata al consumo interno delle domus pugliesi; le eccedenze venivano vendute e una parte del ricavato era versato nelle casse della Sede Centrale sotto forma di responsiones. Nella seconda parte del XII sec. i cereali e i legumi pugliesi erano inviati agli insediamenti in Siria i quali, perdendo terreno a vantaggio dei Musulmani, divenivano sempre più dipendenti dall’Occidente per quanto riguardava i rifornimenti.

Con la fine delle Crociate e la disfatta dei regni latini in Terra Santa venne meno la finalità istitutiva dell’Ordine templare, ovvero la protezione dei pellegrini e la lotta agli infedeli. Tornati in Europa, i Milites Christi, che nel frattempo avevano accumulato un immenso patrimonio fondiario e godevano di notevoli benefici e privilegi accordati loro nel corso del tempo dalla Chiesa, cominciarono a dedicarsi ad attività amministrative e finanziarie, prestando somme di denaro considerevoli a sovrani e pontefici e a loro si deve l’invenzione della lettera di credito che facilitava il movimento dei capitali da una nazione all’altra. Nel giro di breve tempo l’Ordine dei monaci-guerrieri diventò una potenza politica ed economica tale da suscitare le invidie sia dei laici che degli ecclesiastici. Sarà proprio il potere accumulato dai Templari a determinare la persecuzione dei cavalieri da parte del re di Francia Filippo IV detto il Bello, bramoso di mettere mano sul tesoro templare, e la soppressione dell’Ordine decisa dal pontefice Clemente V (1312) con la bolla "Vox clamantis in excelso" durante il concilio di Vienne.

L’organizzazione

La struttura amministrativa dell’Ordine era articolata su un sistema a tre livelli tale da consentire un’amministrazione centralizzata e, al contempo, efficiente. Il livello più periferico e decentrato era costituito dalla Precettoria (Commanderie in Francia) o Convento o Commenda, a un livello intermedio vi era la Provincia, mentre la Sede Centrale dell’Ordine (prima in Terra Santa e poi nel quartiere del Tempio a Parigi dopo la perdita dei territori di Outremer) rappresentava il vertice della struttura.

L’unità di base dell’amministrazione era la Commenda, la cui creazione in una data zona era subordinata al possesso di proprietà da parte dei Templari in grado di consentirne l’esistenza e il mantenimento dei cavalieri. Ogni casa era retta da un ufficiale chiamato Commendatore (Commandeur in francese), Precettore o Priore (Praeceptor e Prior in latino), se era un Cavaliere (o in alcuni casi un Sergente), o Abate (in latino Abbas) se apparteneva alla classe dei Canonici, che aveva la responsabilità amministrativa dei beni della domus ed era anche il superiore della comunità; spesso i precettori erano coadiuvati da un claviger o camerarius, inoltre, secondo i costumieri templari, il superiore del convento era tenuto a consultare i confratelli: ciascuna settimana si teneva regolarmente un capitolo qualora i membri della comunità erano più di quattro. Tali assemblee svolgevano anche funzioni giudiziarie e potevano infliggere sanzioni disciplinari.

Le precettorie erano raggruppate costituendo le Provincie anche se, talvolta, nell’ambito provinciale vi erano ufficiali intermedi con autorità su un complesso di conventi. Le provincie in genere coincidevano con i regni e i principati. Al vertice di ciascuna Provincia vi era un Maestro Provinciale o Gran Precettore che nominava i superiori dei conventi e, nelle provincie occidentali, riceveva una parte delle rendite delle commanderie. I Maestri Provinciali erano nominati dalla Sede Centrale e svolgevano compiti essenzialmente amministrativi come autorizzare o ratificare la stipula degli atti di compravendita, ricevere donazioni, effettuare permute, intervenire presso l’autorità pontificia o il potere politico per la soluzione di questioni giuridiche, intervenire nella soluzione delle controversie tra le domus templari o tra queste e altri Enti religiosi o ecclesiastici, presiedere alla cerimonia di ricezione nell’ordine dei postulanti; con frequenza annuale si tenevano dei capitoli provinciali a cui prendevano parte i superiori dei conventi durante i quali si discutevano i problemi della Provincia e lo stato delle singole mansioni. Il Magister si faceva aiutare nel governo della Provincia da vicari, procuratores, missi e nunzi. Il controllo da parte delle autorità centrali sulle Provincie avveniva mediante visite canoniche, con l’invio di un ufficiale, detto Visitatore, in una o più sedi provinciali.

La direzione dell’Ordine, presso la Sede Centrale, spettava a un Gran Maestro eletto da una commissione di tredici fratres. Dalla fondazione (1118) all’arresto dei cavalieri (1307) si sono succeduti ventitré Gran Maestri, da Hugues de Payns (il primo) a Jacques de Molay (l’ultimo). Come tutti gli altri superiori anche il Gran Maestro era tenuto a consultare gli ufficiali principali dell’Ordine riuniti in un Convento Centrale. Altro organo di governo era il Capitolo Generale costituito dai confratelli indicati dalle provincie. Probabilmente tale assemblea generale dell’Ordine si riuniva una volta l’anno, nominava gli ufficiali più importanti e si ritiene che emanasse le modifiche alla Regola.

Per quanto riguarda la penisola italiana, essa era divisa in due unità amministrativo-territoriali: la parte centro-settentrionale e la Sardegna, detta provincia d’Italia o di Lombardia, e la parte meridionale, detta provincia di Apulia, che comprendeva tutto il regno di Sicilia, anche se alcuni storici ritengono che la Sicilia potesse costituire una provincia autonoma. Sino alla morte di Federico II, la Sicilia-Calabria ebbe una propria autonomia amministrativa e propri Maestri. A partire da Manfredi e sino a Carlo I d’Angiò le domus del Regno di Sicilia furono rette da un unico Gran Precettore di Apulia-Sicilia. Sicuramente, con la guerra del Vespro e con il passaggio della Sicilia agli Aragonesi (1282) l’isola cessò di dipendere dalla provincia di Apulia e il centro amministrativo dell’Ordine divenne Messina. Ciascuna provincia era retta da un Gran Precettore che aveva la propria dimora presso la casa madre della provincia. A S. Maria dell’Aventino (Roma) risiedevano i Maestri Provinciali della Lombardia, anche se, nel corso del tempo, questa domus perse d’importanza a vantaggio di quelle di Bologna e Piacenza; mentre a S. Maria Maddalena (Barletta) aveva la residenza il Gran Precettore dell’Apulia. Al di sopra dei Maestri Provinciali vi era un ufficiale responsabile per tutta la penisola chiamato Magister Totius Italiae. Come già detto, a volte esistevano funzionari di rango intermedio con giurisdizione su un insieme di conventi che non costituivano una provincia. In Italia queste unità territoriali più circoscritte erano: Ducato di Puglia, Terra di Lavoro, Terra Romae, Patrimonio del Beato Pietro in Tuscia, Ducato di Spoleto, Marca Anconitana e Marca Trevigiana. Nella provincia settentrionale i Gran Precettori, in particolare, e gli alti funzionari, in generale, provenivano dalla nobiltà locale, nel Regno di Sicilia c’era la prevalenza dei francesi, soprattutto dopo l’avvento della casa D’Angiò sul trono del Regno di Napoli. Due Maestri delle provincie meridionali divennero Gran Maestri dell’Ordine: Armand de Peragors (1232-44) che fu Magister della Sicilia-Calabria nel 1229 e Guillaume de Beaujeu (1273-91), Magister Apuliae nel 1271.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:33 pm

I Templari in Puglia - PARTE SECONDA -

La comunità- tipo della domus templare italiana era di solito molto ristretta ed era guidata da un Praeceptor o Prior, più raramente da un Magister e/o Minister. Il Precettore attuava le disposizioni impartite dal Magister Provinciale e amministrava il patrimonio della domus. Presso le comunità più importanti il Precettore era affiancato da missi, priores e yconomi.

Nei primi anni di vita dell’Ordine non esisteva distinzione di classi tra i Templari e il termine miles era usato come sinonimo di frater; i chierici erano ammessi come cappellani. Successivamente i membri laici vennero divisi in due classi distinte: i milites (cavalieri) e i servientes (sergenti). I milites avevano ascendenza aristocratica, sovente si trattava dei figli cadetti dediti alla cavalleria secondo gli usi medioevali; mentre per diventare servientes era sufficiente essere uomini liberi. All’interno del gruppo dei servientes si distinguevano i frère des mestiers, che di solito non partecipavano ai combattimenti, e si dedicavano ai lavori all’interno della mansione; i servientes-rustici che erano di origine contadina e svolgevano mansioni bracciantili all’interno delle comunità templari, consentendo all’Ordine di coltivare e migliorare le proprie terre. La presenza dei servientes-rustici era collegata all’estensione del patrimonio da coltivare e alle colture praticate e fra le domus con il maggior numero di tali serventi vi erano quelle della Capitanata; i sergenti d’arme erano fratelli combattenti, distinti dai cavalieri per abito ed equipaggiamento. I cavalieri vestivano di bianco e portavano la croce patente rossa, i sergenti indossavano abiti scuri. Nel governo dell’Ordine prevaleva l’elemento cavalleresco e gli ufficiali più importanti erano milites, tuttavia in Occidente, ove i cavalieri erano pochi, i sergenti potevano assumere la carica di precettore. All’interno delle case templari spesso si trovavano uomini, noti come donati, che vivevano tra i fratres, condividendone la vita quotidiana, senza emettere i voti. Inoltre l’Ordine si avvaleva della collaborazione di servitori retribuiti.

Dalle origini a Innocenzo III

Sicuramente i Templari cominciarono ad insediarsi a sud del Garigliano dopo il 1139, anno in cui fu raggiunta la pace tra il re normanno Ruggero II e il papa Innocenzo II.

La più antica testimonianza scritta sulla presenza dei Templari in Puglia (e anche in tutto il Regno di Sicilia) ci è offerta da Amando diacono di Trani e, dal 1153, vescovo di Bisceglie, nella sua Historia Traslationis Sancti Nicolai Peregrini (Storia della traslazione di San Nicola pellegrino) databile intorno al 1143. L'Autore riferisce di un avvenimento portentoso durante la cerimonia di traslazione del corpo del Santo: nel cielo completamente terso, all'improvviso, sulla Cattedrale si levarono due colonne di nuvole. Il diacono Amando asserisce la presenza dei cavalieri del Tempio alla processione scrivendo che: "Milites Templi Domini, qui paulo remotius ad urbe (Trani n.d.a.) distabant hoc cernentes dixerunt illud stupendum miraculum sacri corposis traslationem iudicare." Questi sono gli unici elementi forniti da Amando sui Templari nella città di Trani; alcuni autori (Prologo prima, ripreso da Ronchi) ritengono che i Milites Templi già prima del 1143 dimoravamo in un edificio attiguo alla chiesa di Ognissanti al di fuori della cinta muraria tranese. La tradizione vuole che tale chiesa con l'annesso Ospedale e l'Abbazia fu costruito dagli stessi cavalieri rossocrociati intorno alla metà del XII. La presenza dei Templari nella città pugliese è da far risalire almeno al 1139 come può dedursi dall'esame di una lapide murata in prossimità dell'accesso secondario destro dell'ecclesia che reca la seguente iscrizione: "HIC REQUIESCIT COSTANTINUS ABBAS ET MEDICUS ORATE PRO ANIMA EIUS" (Qui riposa Costantino Abate e Medico pregate per la sua anima). Il Templare Costantino, medico e abate-rettore della domus tranese, apparteneva alla classe dei canonici; ebbene, solo dal 1139 con la Bolla Pontificia "Omne datum optimum" (con la quale, tra l'altro, si concedevano diversi privilegi all'Ordine) veniva istituita la figura dei Cappellani per il servizio religioso e liturgico nelle precettorie. Prima di tale Bolla i canonici prestavano servizio "per misericordia", erano "distaccati" presso le domus e non appartenevano all'Ordine. Deve dedursi che la lapide funeraria è da datarsi dopo il 1139 e che, quindi, a quell'epoca i Templari erano già presenti a Trani. Da questa città l'ordine cavalleresco si diffuse gradualmente nelle zone limitrofe, raccogliendo elemosine e lasciti dei benefattori. Da un atto del marzo 1148 del primicerio Ungro di Leone a favore dell'Abbazia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni si apprende dell'esistenza di una <<terra cum olivis fratum Templi>> in località Vaditello di Molfetta. Nel 1157 il vescovo di Canne Giovanni assegnava ai Templari la chiesa di S. Maria de Saliniis. Il centro di espansione templare nell'Italia meridionale divenne Barletta: nel 1169 essi ricevettero da Bertrando (Vertrando), arcivescovo di Trani, la chiesa di S. Maria Maddalena destinata a diventare il centro amministrativo templare nella provincia di Apulia e sede del Maestro Provinciale. Probabilmente il primo di tali magister Apuliae fu Enrico, citato in un atto di vendita redatto a Minervino Murge (Ba) nel marzo 1169. Intorno alla metà del XII sec. i Templari realizzarono la chiesa di Ognissanti a Trani, nei pressi del già esistente ospedale, avvalendosi di qualche confraternita di costruttori e nel luglio del 1170 si videro donare delle proprietà fondiarie da Orso Rogadeo. Sempre intorno a questi anni si ha testimonianza di nuovi possedimenti nel territorio di Molfetta. Nel dicembre 1187, Giovanni Amerusius, regio barone e signore di Triggiano (Ba), lasciò ai Templari un calice d'argento, segno, dobbiamo desumere, di espansione nella parte più meridionale della Terra di Bari. Nel frattempo l'Ordine costituì diverse domus in Capitanata: a Foggia, a Salpi e a Troia. Nel nord barese si ebbero insediamenti ad Andria, Sovereto e Terlizzi. A Bari i cavalieri rossocrociati ottennero dal Cancellarius Alemannie la chiesa di San Clemente. In Terra d'Otranto i Templari si insediarono a Brindisi, Lecce, Oria e Otranto.

L'espansione templare si accentuò alla fine del XII sec. con l'avvento al soglio pontificio di Innocenzo III. Il nuovo papa si dimostrò particolarmente benevolo nei confronti dell'Ordine, anche non mancarono, n alcune circostanze, aspre critiche all'atteggiamento arrogante di alcuni Templari. Di fronte all'indifferenza dei sovrani europei a partecipare ad una nuova crociata, Innocenzo III contava sulla nobiltà feudale, sui pauperes, sugli ordini religiosi e soprattutto sui Templari per realizzare tale progetto. Alla vigilia della IV crociata, Innocenzo III intervenne dell'Ordine confermando la bolla "Omne datum optimum" e proteggendolo dagli attacchi del clero regolare. Il papa nel giugno del 1200 intervenne nella questione tra i Templari e la chiesa barese circa il possesso dell'ecclesia di San Clemente, attribuita ai cavalieri rossocrociati dal Cancellarius Alemannie, incoricando i vescovi di Conversano e Bitetto di convocare le parti, sentire le ragioni di ciascuna e risolvere la controversia secondo giustizia. Pur non avendo alcuna prova dell'esito del verdetto, la chiesa di San Clemente fu assegnata in modo definitivo ai Templari, visto che ancora apparteneva a costoro nel 1310.

All'inizio del XIII sec. si ebbe la costituzione di nuove precettorie a Ruvo di Puglia. Nel 1213 a Trani si riunì il Capitolo della Provincia di Apulia presieduto da Pietro di Ays, Maestro Privinciale, per risolvere una controversia tra la domus templare di Foggia e il monastero di San Leonardo di Valle Volaria.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:34 pm

I Templari in Puglia - PARTE TERZA -

Il periodo svevo

L'Ordine del Tempio nel regno di Sicilia trovò in Federico II di Svevia dapprima un atteggiamento d'indifferenza: il sovrano confermò i privilegi concessi da Onorio III e dai sui successori sul trono imperiale e su quello del regno di Sicilia. L'imperatore ebbe un rapporto privilegiato con l'Ordine di S. Maria di Gerusalemme (Ordine Teutonico) formato esclusivamente da cavalieri tedeschi, tanto che Hermann von Salza, Gran Maestro dell'Ordine Teutonico, fu suo fidato consigliere. Federico II cominciò a mostrare aperta ostilità nei confronti dei cavalieri rossocrociati dal 1227 con l'elezione a pontefice di Gregorio IX che intendeva combattere l'egemonia del sovrano svevo nella penisola italiana. I Templari, schieratisi dalla parte del Papato, divennero oggetto di rappresaglia in Terra Santa. Con la scomunica da parte di Gregorio IX nei confronti di Federico II nel 1227 si ebbe una svolta (in senso negativo) nella storia dell'Ordine templare nella provincia di Apulia. L'imperatore ordinò ai Giustizieri del Regno di sequestrare i beni che i templari possedevano in contrasto con la legislazione sulla monomorta. Anche per tale motivo il papa reiterò la scomunica nel marzo 1228, pur tuttavia Federico II non tornò sui propri passi ribadendo le misure restrittive nei confronti dei cavalieri del tempio e nel luglio del 1228 Rogerio, precettore della domus di Foggia, e Giovanni da Barletta dovettero vendere due parti di un mulino in osservanza di un editto imperiale. Con la presa di Gerusalemme nell'estate 1228, i rapporti con i Templari precipitarono ulteriormente, accusando costoro persino di attentare in due occasioni alla vita del sovrano germanico, il quale proibì agli stessi di rientrare a Gerusalemme. Seguì una nuova spogliazione di beni dei Templari ( e degli Ospedalieri) a favore dei Teutonici che colpì particolarmente la Capitanata di cui abbiamo notizia nel Quaternus de excadenciis et revocatis redatto dal giudice Roberto di Aviano e dal notaio Tommaso di Avellino. Da tale fonte, come vedremo trattando delle domus della Capitanata, abbiamo la portata economica dei beni templari e delle relative rendite in questa zona. Negli ultimi anni di vita Federico II cercò di riappacificarsi con l'Ordine del Tempio senza tuttavia riuscirvi, salvo di disporre nel proprio testamento che la Curia Imperiale avrebbe dovuto restituire all'Ordine i beni ingiustamente sequestrati.

Morto Federico II, con Corrado i rapporti continuarono ad essere piuttosto tesi. Si allentarono con Manfredi, specie dopo l'ascesa in Sicilia della figlia Costanza formatasi nel clima cortese del Monferrato e sensibile alla causa templare. Dalla corte piemontese i templari Alberto e Guglielmo de Canelli seguirono la principessa in Sicilia. Il primo divenne Gran Precettore dell'Apulia ed entrò sotto la protezione di Manfredi che in un atto datato 22 marzo 1262 ordinava che il dignitario templare, nonché consanguineo et fidelismo, non venisse molestato assieme a tutto l'ordine templare nel Regno di Sicilia. Durante il periodo in cui Alberto de Canelli resse la Provincia di Apulia (1262-1266) i rapporti tra i Templari e Manfredi migliorarono notevolmente, tanto che il Maresciallo del Tempio Stefano de Sissy si rifiutò di eseguire l'ordine del papa di reclutare milizie contro il sovrano svevo e per questo venne scomunicato. Anche di fronte alla richiesta papale di intervenire per la riconquista della Sicilia i Templari risposero negativamente, al che Clemente IV invitò il legato apostolico nel Regno di Sicilia ad esigere la decima dai Templari nonostante ne fossero esentati dai tempi di Innocenzo II. Con la sconfitta di Manfredi a Benevento da parte di Carlo d'Angiò, Alberto de Canelli lasciò la provincia di Apulia.

Il periodo angioino

Dopo la parentesi del regno di Manfredi i rapporti tra i Templari dell'Apulia-Sicilia e il papato tornarono ad essere buoni con l'avvento degli Angioini nell'Italia Meridionale. L'Ordine del Tempio fu riammesso a godere pienamente dei possedimenti nel Regno di Sicilia che in precedenza gli erano stati sottratti. Esso si trovò sempre più legato al papa, bisognoso di mezzi finanziari per estinguere i debiti contratti per la guerra contro gli Svevi.

Il nuovo re di Sicilia Carlo I d'Angiò mostrò subito la sua benevolenza verso l'Ordine e il 24 giugno 1267 consentì a Baldovino <<magistro Templariorum>> di esportare dal porto di Bari <<quadem victualia ad subsidium Terrae Sanctae vectigalia, quod ius exiturae dicitur, immunia>>. In diverse circostanze il sovrano Angioino concesse ai Templari di inviare derrate alimentari a San Giovanni d'Acri con facilitazioni e sgravi doganali in cambio dell'appoggio dell'Ordine rossocrociato. Si ha notizia di vari provvedimenti in tal senso relativi a spedizioni dai porti pugliesi: nel 1271 fu disposto dal re che Arnulfo de Ursemali potesse esportare dai porti pugliesi vettovaglie per Acri; nel gennaio del medesimo anno, a seguito delle richieste di Sabino magister della domus di Barletta, Carlo I ordinò al Portolano di Puglia Risone de Marra di soprassedere per quattro anni alla riscossione della balista (…spiegare cos'è) sulle spedizioni di vettovaglie templari per la Terra Santa e di non molestare la fondazione barlettana. Il 18 marzo il re ordinò al Secreto di Puglia di permettere ai Templari di esportare da qualsiasi porto della regione 6.000 salme di frumento e orzo per San Giovanni d'Acri. Il 4 maggio 1273 il sovrano angioino scrisse al Portolano di Barletta di acconsentire alle esportazioni templari dai porti pugliesi e il 22 gennaio 1274 al Portolano di Puglia Nicola Frecze, ordinando di far estrarre dai porti di Bari e Manfredonia frumento per Acri. Il 18 gennaio 1278 Carlo I dispose affinché Girardo, frater templare, potesse estrarre <<de quocumque portu Apulia triginto salmas leguminen, elasque in Ungariam per mare deferenti>>.

Non meno benevolo del suo predecessore nei confronti dei Templari fu Carlo II. La curia angioina mostrò particolare attenzione verso la domus di S. Maria Maddalena di Barletta: intervenne presso un saraceno per indurlo a restituire ai Templari di Alberona, dipendente dalla domus barlettana, dei porci e del pollame; ordinò ai Giustizieri di Capitanata di non molestare i Templari di Barletta per il servizio militare nei fedi di Versentino, Alberona e Lama; intervenne presso il Capitano di Lucera affinché fosse garantito ai Templari il diritto di pascolo nel territorio di Tora vicino Alberona. Su richiesta di Rainando de Varensis, Gran Precettore di Apulia, ordinò agli Ufficiali del Regno di non molestare l'ordine cavalleresco. Il 27 febbraio 1303 Carlo II d'Angiò intervenne per la soluzione della causa relativa ad alcune masserie templari nel territorio di Lucera. Il 9 febbraio 1307 Roberto d'Angiò, reggente del Regno, su richieste del Gran Maestro Jacques de Molay, condonò ai Templari pugliesi alcune multe per aver inviato a Cipro navi onorarie senza la regia autorizzazione e consentì all'Ordine di non essere sottoposto al monopolio regio del sale potendo estrarre a tempo indeterminato 300 salme di sale annue dalle saline pugliesi.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:35 pm

I Templari in Puglia - PARTE TERZA -

Il declino dell'Ordine. Le Inquisizioni e il processo di Brindisi

All'inizio del XIV secolo l'Ordine del Tempio cominciò a subire un lento e inesorabile declino. Si ebbero dei dissidi con gli Ospitalieri e un progetto di fusione tra i due ordini non riuscì. Sono del 1305 le denunce di un tale Esquien de Floryan, priore di Montfoucon nella regione di Tolosa, che accusava l'Ordine di eresia, blasfemia e comportamenti lascivi. In particolare si imputava ai Templari di adorare un idolo barbuto chiamato Baphomet, di disprezzare la croce tanto da sputarci sopra e calpestarla, di praticare la sodomia, etc. Tutte queste accuse sembravano capitare ad hoc per le mire politiche ed economiche di Filippo IV "Il Bello" re di Francia, il quale, sull'orlo della bancarotta per i debiti accumulati, aveva messo gli occhi sull'immenso patrimonio dell'Ordine cavalleresco per risanare la propria situazione finanziaria. Facendo pressione prima su Bonifacio VIII e poi sul francese Clemente V (tra l'altro con la sede del papato trasferita ad Avignone) riuscì a scatenare l'Inquisizione contro i Templari in particolare in Francia, nei territori pontifici e nel Regno di Sicilia retto dagli Angioini imparentati con il re di Francia; mentre nella penisola iberica e in Scozia l'Ordine non subì alcuna persecuzione e conservò il proprio patrimonio, anzi esso continuo a sopravvivere cambiando nome, divenendo Ordine di Cristo in Portogallo e Ordine di Montesa in Spagna. Il 13 ottobre 1307, in sol giorno, per ordine del Gran Inquisitore di Francia, Guillaume Imbert, e del consigliere del re Guillaume de Nogaret vennero arrestati tutti i Templari d'Oltralpe. Seguirono processi e relative inquisizioni.

Nel Regno di Sicilia il vicario Roberto d'Angiò impartì ai suoi siniscalchi l'ordine di arresto dei Templari del regno e il sequestro dei beni dell'Ordine. Al Giustiziere della Terra di Bari fu ordinato di arrestare i Templari che fossero sbarcati a Barletta, mentre al Castellano di questa città fu affidata la custodia di un gruppo di cavalieri costituito da Michele Cersi, Oliviero di Bivona, Guglielmo Angelico, Bartolomeo e Andrea di Cosenza; Angelo di Brindisi, catturato in località Piczani (Picciano di Matera) il 12 marzo 1308, e Sfefano di Antiochia arrestato nella domus di Ruvo di Puglia. Il 27 febbraio 1308 Roberto comunicò al Giustiziere di Terra d'Otranto di procedere alla redazione di un inventario dei beni templari ; il 25 marzo ordinò lo stesso per i beni della domus barlettana.L'inquisizione contro i Templari nell'Italia meridionale ebbe inizio con l'invio dell'inquisitore Giacomo di Carapelle, canonico di S. Maria Maggiore di Roma (dicembre 1308) e successivamente di Guglielmo di S. Marcello (febbraio 1309). Parallelamente all'attività inquisitoria la Curia angioina provvide ed emanare atti relativi all'amministrazione dei beni templari posti sotto sequestro. Il 27 marzo del 1309 il re di Napoli ordinava ai procuratori dei beni templari in Capitanata Bartolomeo de Carbonaro di Salpi e Giacomo di Lucera di rifornire di legname la fabbrica della chiesa di S. Maria e di inviare 40 buoi e tutti i bufali per il trasporto, scegliendoli tra le bestie migliori delle mandrie sequestrati ai Templari. Nel maggio dello stesso anno venivano nominati altri procuratori per i beni dell'Ordine in Terra d'Otranto e, quasi contestualmente, fu ordinato ai giudici Angelo di Ruvo e ad Andrea di Donnaperna di Barletta di provvedere alla conservazione e alla vendita al miglior prezzo di pelli, cuoiami e lane ottenute dalle mandrie templari della domus di Barletta. Il 2 giugno 1309 Roberto d'Angiò diede l'ordine ai due giudici sopracitati di prelevare qualche somma di denaro dalle rendite della domus barlettana per spenderle a favore dei cavalieri prigionieri onde migliorarne le tristi condizioni.

Le uniche inquisizioni contro i Templari nel Regno di Napoli di cui si ha notizia storica ebbero luogo nella primavera del 1310 a Lucera e a Brindisi. L'inquisizione nella città della Capitanata iniziò nell'aprile del 1310 con testimoni Gerard de Bourgogne, che raccontò di essere stato obbligato a rinnegare la croce il giorno del suo ingresso nell'Ordine presso la domus di Torre Maggiore, e Galcerand de Teus (?) , il quale dichiarava di essere stato ricevuto nell'Ordine in Catalogna con riti "criminali" (rinnegamento della croce, bacio sull'ombelico, sodomia), ma la sua testimonianza appare in netto contrasto con quelle dei Templari iberici, tutti concordi nel difendere l'innocenza dell'Ordine. È da sospettare che tale testimonianza sia stata estorta con violenza, non si capisce altrimenti il perché un solo cavaliere della penisola spagnola abbia rivolto tali accuse.

Indubbiamente di maggiore portata fu il processo celebrato a Brindisi. Iniziato il 15 maggio del 1310, si concluse nel giugno dello stesso anno, presso la chiesa di S. Maria del Casale, sebbene è da sostenere che le inquisizioni si svolsero in qualche convento o edificio adiacente la cappella intitolata alla Madonna del Casale, dato che la struttura attuale della chiesa fu costruita, incorporando un'antica cappella preesistente, solo nel 1310 per volontà di Caterina di Valois principessa di Taranto. Il processo doveva essere presieduto dall'arcivescovo di Napoli Umberto che però non poté prendervi parte essendo impegnato nella consacrazione di Nicola, vescovo di Monopoli. Il suo posto fu preso da Bartolomeo, arcivescovo di Brindisi, che inaugurò il processo il processo ai Templari alla presenza degli inquisitori di Giacomo di Carapelle e Arnolfo Bataylle arcivescovo di Natzamia. Dopo la formula di rito, gli inquisitori citarono i cavalieri templari e il Gran Precettore di Puglia Oddone di Valdric affinché si presentassero davanti alla commissione. Nonostante l'affissione dei bandi di citazione nella cattedrale, nel castello e nella domus templare di San Giorgio solo due fratres si presentarono, molti Templari erano riusciti a fuggire o erano stati arrestati, trovandosi reclusi nei sotterranei dei castelli del regno (ad esempio nel castello di Barletta). I Templari furono dichiarati contumaci. Il 4 giugno la commissione inquisitoria tornò nel castello di Brindisi per interrogare gli unici cavalieri presentatisi: Ugo di Samaya e Giovanni da Neritone (Nardò), accolti non in qualità di accusati. Ma in quella di testimoni. Il primo ad essere interpellato fu fra' Giovanni da Nardò, precettore della domus di Castrovillari in Calabria, il quale raccontò di essere stato ricevuto nell'Ordine l'anno successivo la caduta di S. Giovanni d'Acri (quindi nel 1292) presso la domus di Barletta nella sala del Pavilon in occasione della festività dei SS. Simeone e Giuda (28 ottobre) alla presenza del Magnus Praeceptor di Apulia Rainaldo di Varena. Il frate ricordando il suo ingresso nell'Ordine , affermò di essere stato più volte "invitato" a rinnegare e calpestare la croce; inoltre confermava che i Templari adoravano un gatto: infatti, mentre erano nella sala del Pavilon all'apparire di un gatto dal pelo grigio tutti i fratres si alzarono, si tolsero i cappucci, adorandolo. Fra' Giovanni non avendo nulla in testa, fu costretto a chinare il capo in segno di rispetto. Riferì anche del bacio scandaloso sul ventre e di atti di sodomia. Il 5 giugno fu chiamato a deporre Ugo di Samaya, precettore della domus di S. Giorgio di Brindisi. Ugo raccontò di essere entrato nell'Ordine durante la festa di S. Giovanni Battista di un anno che non ricordava. La cerimonia di ingresso non aveva alcunché di immorale o sacrilego, né mai aveva sentito parlare di pratiche contrarie alla fede e alla religione. Successivamente, inviato a Cipro, nella mansione di Limassol, conobbe il frate Goffredo di Villaperos che gli chiese se al momento di entrare nell'Ordine aveva rinnegato la croce. Ugo rispose negativamente e alcuni mesi dopo lo stesso Goffredo assieme a 10 confratres di notte, dopo aver forzato la porta, si recò nella stanza di Ugo, tracciò una croce sul pavimento intimandogli di calpestarla. Frate Ugo, all'inizio cercò di opporsi, ma davanti alla minaccia dei militi armati fu costretto all'orribile atto di ripudio. Alla richiesta del motivo di tale gesto, frate Goffredo rispose che da tempo era una consuetudine dell'Ordine. Successivamente frate Ugo confessò l'episodio al frate minore Martino di Rupella che, per penitenza, gli ordinò il digiuno per dieci venerdì consecutivi e di fare elemosine. Al termine della deposizione di Ugo di Samaya, gli atti dell'inquisizione brindisina furono inviati al pontefice Clemente V per il Concilio di Vienne e il processo contro i Templari in tal modo si concluse.

Se le uniche perquisizioni a sud del Garigliano furono solo quelle di Brindisi e Lucera e il contenuto degli atti a noi pervenuto è veritiero appare chiaro come la Curia Angioina volle assumere una posizione di attesa e prudenza nei confronti dei Templari, limitandosi a provvedere alla custodia e all'amministrazione dei beni sequestrati. Roberto d'Angiò sembrò voler assecondare tanto il papa Clemente V (che tra l'altro doveva incoronarlo re di Napoli) tanto Filippo IV (imparentato con gli Angioini).

Durante il Concilio di Vienne il pontefice con la bolla "Vox Clamantis in Excelso" (3 aprile 1312) decretava la soppressione dell'Ordine del Tempio; mentre con la bolla "Ad Provvidam" (2 maggio 1312) si ebbe l'assegnazione dei beni templari agli Ospedalieri, ai quali finirono la maggior parte delle proprietà dell'Ordine in Italia meridionale; in alcuni casi i beni furono acquistati con frode o con violenza dai feudatari locali o finirono per accrescere il patrimonio di enti religiosi. I cavalieri Templari imprigionati nel 1307 poterono lasciare le carceri angioine: alcuni tornarono allo stato laicale, altri rimasero sacerdoti o cappellani nelle parrocchie; quelli maggiormente "compromessi" furono inviati in luoghi lontani o a combattere contro gli infedeli sotto i vessilli di altri Ordini Cavallereschi.

È interessante notare come dopo il rogo di Parigi (18 marzo 1314) in cui fu arso vivo l'ultimo Gran Maestro Jacques de Molay, nel regno di Napoli esistevano ancore gruppi di Templari senza più un'organizzazione amministrativa e senza mezzi di sostentamento tanto che papa Giovanni XXII invitò i Frati Minori e i Domenicani a soccorrere e mantenere questi confratres. Ulteriori testimonianze della temporanea sopravvivenza dei Templari in Puglia almeno sino ci è fornita da un documento del 1332 dal quale si apprende che frate Giovanni, Abbas Sacri Templi Domini Jerosolimitani, dava in affitto una casa a Bari, mentre in un atto di permuta del 1394 ricordato un <<frater Marinus (Martinus) ordinis Templi Ierosolimitani prior ecclesie Sancti Elie de Baro.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:36 pm

I Templari in Puglia - PARTE QUARTA -

I Templari in Terra di Bari

Circa la presenza dei cavalieri templari in Terra di Bari, sulla base delle notizie a noi giunte, sappiamo dell'esistenza di insediamenti o di semplici proprietà nelle seguenti località:
• Andria
• Bari
• Barletta
• Canne
• Corato
• Giovinazzo
• Minervino Murge
• Molfetta
• Monopoli
• Ruvo di Puglia
• Sannicandro di Bari
• Sovereto
• Spinazzola
• Terlizzi
• Trani
Andria

In questa cittadina i Templari fondarono nella seconda metà del XII secolo la chiesa di San Leonardo. Secondo l'interpretazione di Bianca Capone precettore della domus andriese nel febbraio 1196 fu Pietro di San Gregorio che compare in documento dell'epoca, sebbene nello stesso non vi sia alcuna indicazione di città, ma solo della chiesa di San Leonardo. Tuttavia, essendo il documento redatto a Canne, è assai probabile, data la vicinanza tra Canne e Andria, che la chiesa di San Leonardo citata sia quella di questa città piuttosto che l'omonima ecclesia presente a Barletta. La chiesa rimase proprietà dell'Ordine cavalleresco sino al 1228/1229 quando l'imperatore Federico II di Svevia espropriò i possedimenti templari nel Regno di Sicilia. L'imperatore tedesco, legato all'ordine Teutonico che era formato da cavalieri germanici, donò la chiesa di San Leonardo a tale ordine che la consacrò al Salvatore. I cavalieri Teutonici, nell'insediarsi ad Andria, non sopportarono alcuna spesa poiché utilizzarono il convento lasciato dai Templari e vi restarono sino al 1358, quando la lasciarono agli Agostiniani che la dedicarono al loro fondatore (S. Agostino) e la tennero sino al 19 settembre 1809. La chiesa esiste ancora con la denominazione di S. Agostino ed è retta dal clero secolare.

Bari

La domus templare in questa città era ubicata presso la chiesa di San Clemente nell'attuale borgo antico della città. Abbiamo alcune notizie su detta chiesa, prima che diventasse templare, da parte di alcuni storici locali (Petroni, Garruba). Essa fu edificata, in un'epoca imprecisata, dalla famiglia Positano "dietro i corrioli di S. Agostino" (Petroni) e nel novembre del 1089 donata dall'arcivescovo di Bari Elia (1089-1105) all'arcidiacono Giovanni della "Ecclesia Sancte Dei Genitrics et Virginis Marie" , la quale l'avrebbe avuta "semper in suo dominio, potestate et iurisdictione" (Garruba). Verso il 1190, il "Cancellarius Alemannie" assegnò la chiesa di San Clemente all'ordine dei Templari. Sorse in tal modo una disputa tra i cavalieri e il clero barese circa il possesso della chiesa e per dirimere la controversia l'11 giugno 1200 il papa Innocenzo III delegò i vescovi di Conversano e Bitetto, come attestato da una pergamena conservata presso la Cattedrale di Bari. Nulla ci è rimasto circa il pronunciamento dei due vescovi, tuttavia appare assai probabile che la chiesa di San Clemente fu assegnata definitivamente ai Templari e nel corso del XIII secolo essa fu una delle più importanti domus templari in terra di Puglia. Infatti è ricordata in un documento del 30 novembre 1305 e dopo la conclusione del processo di Brindisi (5 giugno 1310) divenne "caput omnium ecclesiarum sacri Templi Domini Ierosolimitani in Apulia". Da un documento fiscale apprendiamo anche che la chiesa (con l'annesso monastero) amministrava un discreto patrimonio , versando nel 1310 una decima all'arcivescovo di Bari di 2 once e 21 tarì d'oro che lascia presupporre una rendita annua di circa 27 once e nello stesso periodo 4 tarì e 4 grana d'oro all'arcivescovo di Siponto "pro grangia Casalis Novi".
La domus barese possedeva anche delle proprietà in Francia a Saintes. Non potendo curare tali proprietà a causa della loro distanza da Bari il 31 luglio 1310, fra Bartolomeo, abate della chiesa di San Clemente, permutava il priorato di Santa Maria de Mazerayo (che i Templari baresi possedevano a Saintes) con una chiesa che il monastero di San Giovanni Angelicensis possedeva a Giovinazzo, in località Rubissano. L'atto fu controfirmato da frate Angelo, canonico del Tempio del Signore di Gerusalemme, e da Giovanni di Bitonto, frater sacri Templi Domini. Il 12 agosto 1312 papa Clemente V confermava la permuta concordata il 31 luglio 1310 da Bartolomeo, venerabilis abbatis et conventus sive capituli spsius sacri Templi Domini Ierosilimitani, e frate Antonio, del monastero di San Giovanni Angelicensis, Xantonensis diocesis. Il successivo 22 agosto 1312 Clemente V nominava l'abate del monastero de Talmaco, priore de Ulmis e decano della chiesa S. Aredii de Mastatio, Xantonensis diocesis, conservatore "super permutatione facta, propter locorum distantias" fra l'Abate e il convento di San Giovanni Angelicensis circa la chiesa di S. Pietro di Giovinazzo e l'Abate e i canonici S. Templi Domini Ierosolimitani Barensis, circa il priorato di S. Maria di Mazerayo. Altre notizie sui Templari si hanno in un documento del 13 aprile 1307 ove si dice che a Bari diversi cittadini della campagna vicino alle porte della città, per sfuggire alle imposte, vestivano abusivamente l'abito dei Templari, degli Ospitalieri e di altri ordini religiosi.
Dopo l'abolizione dell'ordine del Tempio (1314) non si hanno più notizie della chiesa di San Clemente.
Sappiamo invece altre informazioni di Templari baresi. Infatti da un documento datato 20 luglio 1332 sappiamo che frate Giovanni un (ex) abate del sacro Tempio di Gerusalemme ("abbas sacri Templi Domini Jerosolimitani") affittava una casa a Bari. In un documento della fine del XIV secolo (1394) in un atto di permuta viene ricordato un "frater Marinus (Martinus ordinis Templi Ierosolimitani pior ecclesie Sancti Elie de Baro", ossia una frate Marino o Martino dell'Ordine del Tempio di Gerusalemme priore della chiesa di Sant'Elia di Bari.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:37 pm

I Templari in Puglia - PARTE QUARTA -

Barletta

Anche se la presenza dei Templari in questa città è attestata già dal 1158, la storia dell'Ordine a Barletta può farsi cominciare nel 1169, quando, Bertrando, arcivescovo di Trani (1169-1184), affidò ai Templari Riccardo e Rainerio la chiesa di Santa Maria Maddalena della quale era precettore frate Guglielmo che si impegnava a riconoscere sempre l'autorità dell'arcivescovo di Trani sulla chiesa. Di Santa Maria Maddalena, oggi non più esistente, sappiamo che era "intra moenia Baroli sita" e che ebbe un ruolo primario nella storia templare, divenendo già dalla fine del XII secolo il centro più importante dell'organizzazione nel regno di Sicilia, sino a diventare sede del Maestro Provinciale dell'Apulia e poi dell'Apulia-Sicilia.
Da un punto di vista architettonico la domus di Santa Maria Maddalena si componeva di vari ambienti e pensata in maniera da permettere alla comunità templare di svolgere i compiti ai quali era preposta. Oltre alla ecclesia vera e propria, la domus alla fine del XIII secolo era composta da due camere usate per le cerimonie di ammissione nell'Ordine, una sala denominata Pavalon e la camera del Maestro Provinciale, quando questi risiedeva a Barletta. Inoltre vi era pure una ecclesia di San Leonardo ove veniva scandite le ore della comunità di Santa Maria Maddalena.
In un primo tempo la domus barlettana aveva come funzione principale quella dell'assistenza ai pellegrini (accanto alla chiesa i Templari edificarono un grande stabilimento che fungeva da ospizio) alla quale si affiancarono, con il passare del tempo, anche quella di controllo su tutte le case della Terra di Bari, (infatti, da un documento del febbraio 1196, apprendiamo che il capitolo templare di Barletta approvava la permuta di un terreno effettuata da Pietro di S. Gregorio, precettore templare della chiesa di San Leonardo (di Barletta, secondo Fulvio Branmato) con Aitardo vescovo di Canne e che frate Giovanni era "prior domus templi Barleti") e l'intervento nelle controversie che sorgevano tra i Templari e altri proprietari circa il possesso di taluni beni (da una lettera di papa Onorio III datata 6 giugno 1226 sappiamo che questi assolveva i cistercensi del monastero di Casa Nuova dalle accuse mosse dal Maestro Templare di Barletta circa delle proprietà nei pressi di Lucera). La domus di Barletta è ricordata nel 1200 in un documento dell'archivio capitolare della città di Canne. Il 31 marzo 1204 Maralda, "necessitate famis coacta pro substentatione…filii" vendeva a Matheo cambiatori f. Iohannis, acquirente in nome della domus templare di Barletta, tre vigne situate in cluso Bellovidere al prezzo di tre once d'oro.
Man mano che l'Ordine si espandeva e si sviluppava in Puglia, i Templari di Barletta iniziarono ad inviare aiuti di ogni tipo ai loro confratelli della Terra Santa, approfittando del fatto che la città era dotata di un porto di una certa rilevanza. Le spedizioni erano costituite soprattutto da derrate alimentari ed erano effettuate usando barche di proprietà della stessa domus. A sovrintendere a tale attività era il magister della domus, il quale curava l'espletamento delle formalità richieste dalle disposizioni per far uscire dal regno le merci. Nel 1271 Carlo I d'Angiò, in seguito alle richieste di Sabino, maestro della domus templare di Barletta, comandava a Risone "de Marra" Portolano della Puglia, di soprassedere per quattro mesi alla riscossione della balista sulle spedizioni di vettovaglie che i Templari organizzavano per San Giovanni d'Acri e di non molestare più le domus dell'ordine cavalleresco di Barletta. Nel 1272 la domus di Barletta utilizzava le seguenti imbarcazioni per il trasporto di vettovaglie: la paranza S. Nicola di ser Benvenuto e ser Martino Martino de Dragundo; la paranza S. Albano di ser Mani et Omibani; la paranza S. Cristoforo di Andrea de Iadeva e la paranza S. Nicola di Nicola Stramatia di Bari. Carlo I d'Angiò intervenne spesso per agevolare la spedizione di merci e derrate alimentari da Barletta per la Terra Santa. A tale proposito si può vedere l'ordine dato a Nicola Frecza, portolono di Puglia, il 22 gennaio 1273 con il quale il re "mandat ut fr. Arnulfo, Domus Militie Templi extrahere de portu Baroli seu Manfredonie frumenti salmas M et totitem ordei, deferendas per mare cum navibus eiusdem Domus ap. Accon permittat."
Da un documento datato agosto 1303 e redatto a Barletta sappiamo che per volontà di frate Guglielmo de Barolo, nunzio di frate Goffredo Petr(agoni), maestro e precettore sacre domi milicie Templi in Apulia, vengono imbarcate nel porto di Manfredonia per l'isola di Cipro "pro substentacione presidi dicte domus", 400 salme d'orzo, 350 salme di frumento e 20 salme di fave.
I Templari di Barletta ebbero proprietà anche in altre città e regioni. Sappiamo che il 29 giugno 1279 tale Andrea Strino di Barletta donava a Pietro de Genua, Magistro Ordinis Templariorum, la metà della sua casa con la metà "plateae, cisternae et crypta" che si trovavano in Trani. Nel 1282 la domus aveva delle proprietà in Calabria e da essa dipendevano le fondazioni di questa regione. Nel 1298 Carlo II d'Angiò interveniva presso il Capitano di Lucera affinché al Magister e ai Templari della domus di Barletta fosse garantito assieme agli uomini del loro casale di Alberona il diritto di pascura sul territorio di Tora. Mentre da un documento del marzo 1308 (quando erano già in corso le persecuzioni contro i Templari) apprendiamo la cospicua consistenza e l'elencazione delle proprietà in Lucania. Infatti nel in esecuzione delle disposizioni ricevute da Roberto d'Angiò, duca di Calabria, venne redatto l'inventario dei beni che la domus templare di Barletta possedeva in Basilicata. Da tale inventario risulta che l'Ordine possedeva a Melfi la chiesa di san Nicola "cum domibus et ortis sitis in territorio eiusdem terre ante terram eamdem que site sunt iuxta aemdem ecclesiam et ex alia parte site sunt iuxta viam puplicam". Sempre a Melfi ebbero tre staciones in località Albana; una domus nella parrocchia di S. Adoeni; un'altra domus ed una vigna nella terra che fu di Alibrando di Melfi. Altre vigne ebbero in loco qui dicitur Matera,.. in loco qui dicitur columnellis, ed in località S. Pietro de Serris. Un'ultima vigna con un castagneto ebbero in fontana veterano. A Melfi ebbero, infine, due cripte "cum orto uno sito ante civitatem Melfie suptus balneum civitatis eiusdem" ed un tenimento di terre in località Cisterna. A Lavello un grande tenimento di terre situato in località Girono, dove dicta domus Templi aveva massariam suam. A Venosa i Templari possedevano un vignale, un grande palazzo in piazza che fu di Bisanzio, una domus situata in parrocchia di S. Barbara; un casalino sempre in parrocchia di S. Barbara; diverse vigne "in parte Vallonis sancti Blasii que fuerunt dopni Bisancii"; una pecia di terra nella valle de frussa, vicino al fiume; la terza parte di una domus nella parrocchia di S. Nicola; la terza parte di un vigneto in parte Riali; una domus in parrocchia S. Marco; una terra in loco vie vallonis, due petie di terra situate in loco faraucosi; una terra situata in parte ciglani; un appezzamento di terra situata in parte flumis ed un altro situato in parte vallonis de flurco.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:38 pm

I Templari in Puglia - PARTE QUINTA -

Barletta - segue -

Dopo i Vespri Siciliani (1282), con il passaggio della Sicilia agli Aragonesi, e la pace di Caltabellotta (1302) la domus di Santa Maria Maddalena estese la sua giurisdizione su tutte le case templari del regno di Napoli, dando un nuovo impulso all'espansione dell'Ordine nel mezzogiorno d'Italia. Divenuti oramai una vera e propria potenza, alla fine del XIII quando erano giunti all'apice della loro fortuna, I Templari barlettani cominciarono ad abusare del loro potere e si resero responsabili di soprusi ai danni della popolazione locale che si rivolse al re Carlo II d'Angiò perché i cavalieri erano soliti sequestrare gli animali che andavano a pascolare nelle loro terre e li rilasciavano solo dietro pagamento di riscatto. Il sovrano angioino per ben due volte, il 13 novembre 1294 e il 20 febbraio 1296, ordinò al giustiziere di Terra di Bari e ai baglivi di Barletta di intervenire. Nonostante ciò il re di Napoli continuò a mostrarsi favorevole nei confronti dei Templari , confermando i loro privilegi. Solo nel marzo del 1308, per uniformarsi alle direttive di Filippo Il Bello e di papa Clemente V, cominciò a far arrestare i Templari di Barletta e li rinchiuse nel castello della città, ove vi rimasero sino al 15 maggio del 1310, data di inizio del processo di Brindisi. Sappiamo infatti che il 24 marzo 1308 Giovanni Brachetto, castellano di Barletta, ricevette in consegna i Templari Michele Cersi, Oliviero de Berona, Guglielmo Angelicum (Anglicum), Bartolomeo de Cusencia, Angelo de Brandusio e Stefano de Antiochia, fece redigere a Riccardo di Nicola, notaio, un atto pubblico per rendere certa l'esecuzione degli ordini della Regia Curia e di Giovanni di Laya, Giustiziere di Terra di Bari. Durante la prigionia dei Templari barlettani, nel maggio 1309 la Grande Curia ordinò ai giudici Angelo di Ruvo e ad Andrea di Donnaperna di Barletta di provvedere alla conservazione e alla vendita alle migliori condizioni delle pelli, dei cuoiami e delle lane ricavate dalle mandrie già appartenute alla domus templare di Barletta e nel giugno 1309 Roberto d'Angiò imponeva agli stessi giudici di prelevare qualche somma di denaro dalle rendite amministrate dalla domus di Barletta e spenderle a favore dei Templari prigionieri. Dalle deposizioni di alcuni cavalieri templari abbiano altre notizie sulla domus di Barletta. Sappiamo che nel 1292 frate Giovanni de Neritone fu ricevuto nella domus di Santa Maria Maddalena nella stanza detta del Pavalon e fu costretto a rinnegare il crocifisso. Intorno al 1300 fu ricevuto nell'Ordine a Barletta frate Giovanni Anglicus, alla presenza di Rinaldo de Varensi, gran Precettore di Apulia, e nel 1307 era precettore di Barletta Giovanni de Nivelle.
Con l'abolizione dell'Ordine Templare (1314) la chiesa di Santa Maria Maddalena fu affidata a Cappellani e adibita per le convocazioni del consiglio dell'Università. Il 17 marzo del 1531 papa Clemente VII cedette la chiesa ai Domenicani, i quali, subito dopo, la rasero al suolo per ampliare l'attuale chiesa di San Domenico.
Ad epilogo della trattazione della presenza templare a Barletta voglio riportare un interessante ed innovativo intervento che ho trovato su Internet (http://www.crsec.it/I%20Templari1/index.htm) realizzato da Oronzo Cilli, il quale nega, sulla base di alcuni documenti e deduzioni, che la chiesa di Santa Maria Maddalena fu la domus templare a Barletta.
Secondo molti studiosi i cavalieri Templari a Barletta avevano due case: quella di San Leonardo, extra moenia, e quella di Santa Maria Maddalena, intra moenia. Il fondamento di tale asserzione è costituito da un documento del 1196 pubblicato da Arcangelo Prologo nelle sue Carte che si conservano nello Archivio Capitolare Metropolitano della città di Trani edito a Trani dal Vecchi nel 1877. Il Prologo, nel regesto dei documenti riportati nella sua importante opera, scrive che "(1169) - Il Capitolo generale dei Templari in Gerusalemme approva la convenzione stabilita in Barletta fra l'Arcivescovo Bertrando ed il clero di Trani e Barletta da una parte, e fra Riccardo e Rainerio dell'Ordine del Tempio dall'altra, intorno alla concessione fatta alla stesso Ordine della Chiesa di S. Maria Maddalena di Barletta; ed approva la formula del giuramento, che dovranno prestare i rettori di quella Chiesa prima di entrare in ufficio" . Stando al regesto, si farebbe riferimento ad una donazione - dopo quella fatta ai templari di S. Maria de Salinis nel 1158 - elargita verso quest'Ordine dal clero Tranese. Tuttavia, afferma Oronzo Cilli, nell'originale documento riportato dal Prologo, si può legge "…vobis et universo clericorum vestrorum sacro collegio notificamus. quod ego. R. sancti templi domini quod est in iehrusalem dictus abbas…". È da notare, come è chiamato l'Ordine che riceve la donazione: sancti templi domini. Ebbene, da una prima lettura di questo documento si evince come l'Ordine, che ricevette la chiesa di Santa Maria Maddalena di Barletta, non fu in realtà quello dei Templari ma, bensì, un altro Ordine. Nei diversi manoscritti latini, in cui compaiono cavalieri templari, si ritrovano spesso citati come militia Templi o domus militia Templi e solo raramente - soprattutto nei primi anni - come Templum domini o Templi domini. Questo perché, i Templum domini non erano i cavalieri che avevano ricevuto la benedizione da San Bernardo di Chiaravalle ma i canonici regolari del Tempio del Signore, legati alla regola agostiniana .
Lo storico Alain Demurger, nella sua storia sui Templari scrive, a proposito di quest'ordine che a Gerusalemme davanti al Tempio di Salomone, si apre la vasta spianata detta "del Tempio", ma che prende il suo nome dal Tempio del Signore, Templum Domini: si tratta della Cupola della Roccia, divenuta proprietà dei canonici regolari del Templum Domini che ne avevano fatto la loro chiesa, consacrata nel 1142 .
Anche se le diverse fonti raccontano come, i futuri cavalieri Templari, ricevettero in principio assistenza da quest'ordine, ma le loro vie ben presto si separarono. Questa confusione, dovuta anche allo scarso approfondimento e conoscenza di entrambi gli ordini.
Altro elemento che può aiutarci a scartare l'ipotesi di donazione fatta nei confronti dei Templari, è contenuto nello stesso documento del 1169, quando si riporta il giuramento di fedeltà fatto dal primo rettore dell'Ordine - imponendolo a tutti gli altri rettori che gli succederanno - al vescovo Bertrando e a tutti i successivi vescovi della chiesa tranese. E' risaputo come i Templari prestassero un giuramento, ma certamente non nei confronti dei vescovi locali. A tal riguardo si riporta un passo di Franco Cardini: "l'Ordine ottenne ampi privilegi con la bolla Omne datum optimum di Papa Innocenzo II, del marzo 1139, che stabiliva che esso dipendeva direttamente dalla Santa Sede…… Altre bolle ampliarono i diritti e le prerogative del Tempio, in genere a scapito delle Chiese locali e quindi con poco gioia dei vescovi: così l'Ordine divenne un formidabile strumento nelle mani delle aspirazioni monocratiche del papa sulla Chiesa Latina" . Quindi, se questi privilegi furono concessi molti anni dopo il 1139, e il loro giuramento era solo verso la persona del Pontefice, perché mai i Templari dovettero giurare fedeltà, nel 1196, al vescovo di Trani? Quel giuramento, difatti, non fu pronunziato dai cavalieri rosso-crociati ma dai canonici regolari della Cupola della Roccia. Vi sono ancora altri elementi, contenuti nelle Carte pubblicate dal Prologo, utili a capire come S. Maria Maddalena non fu occupata dai cavalieri Templari. Si legge, ad esempio, in un documento del gennaio 1180, che Bertrando Arcivescovo di Trani col consenso del Clero Tranese, concede immunità e privilegi ai Religiosi ed alla Chiesa di S. Michele Arcangelo, presso le mura di Barletta. Tra i firmatari del documento vi compare un certo "dominici templi kanonicus et prior ecclesie sancte marie magdalene qui interfui". Riportando ancora dominici templi e non domus militia templi o domus templi. In ogni modo è da chiedersi: fino a che punto è giusto identificare il Templum Domini con Canonici regolari del Tempio ed esistono altre testimonianze e tradizioni che attestano la presenza di questi Canonici nella città di Barletta?
Una conferma, sempre secondi il Cilli, verrebbe anche dal Codice Diplomatico Barlettano. In un documento rogato dal notaio Johannes Antionius Bocchutus in data 20 dicembre 1581, si afferma che papa Gregorio XIII immetteva nello jus patronatus della Ecclesia S. Maria Maddalena di Barolo Alessandro di Sangro. Nel documento viene citato in maniera testuale "Accersitis nobis personaliter ad Venerandam Ecclesiam Sante Marie Magdalene de Barolo alias Templum Domini". Tuttavia da altre fonti (Bramato, che riprende Loffredo), come abbiamo già scritto, sappiamo che con la fine dell'Ordine Templare (1314) la chiesa di Santa Maria Maddalena fu affidata a Cappellani e adibita per le convocazioni del consiglio dell'Università. Il 17 marzo del 1531 papa Clemente VII cedette la chiesa ai Domenicani (come testimoniato da una Bolla pontificia), i quali, subito dopo, la rasero al suolo per ampliare l'attuale chiesa di San Domenico. Evidentemente c'è che qualcosa che non quadra.
Quindi, conclude il Cilli, l'unica domus templare a Barletta fu quella di San Leonardo. Tale chiesa, secondo gli storici, doveva essere ubicata extra moenia, fuori le mura, nelle vicinanze dell'omonima Porta fatta erigere nel XII secolo e demolita nei primi del '900, ma non ci sono testimonianze che attestino la reale ubicazione della chiesa. Fu distrutta nel 1528 ad opera di Lorenzo Orsini dell'Anguillara, più noto come Renzo da Ceri, che, per vendetta, sottopose Barletta ad una violenta rappresaglia. Non riuscendo ad avere ragione della città murata, devastò i due quartieri restati ancora sguarniti di mura, S. Antonio e S. Vitale, incendiandone case e chiese.
Se la tesi esposta da Oronzo Cilli fosse fondata occorrerebbe rivedere la storia dei Templari a Barletta.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:39 pm

I Templari in Puglia - PARTE SESTA -

Canne

La chiesa di S. Maria "de Saliniis", domus templare di Canne era ubicata nei pressi dell'ospedale di S. Maria "de mari", sulla strada che da Canne portava ai casali di S. Cassiano e S. Eustasio. Essa fu oggetto di una controversia tra i Templari e i vescovi cannensi. Tale vertenza fu risolta nel maggio 1158, quando Bonifacio, vescovo di Canne, assegnò la chiesa ai Templari. Nel febbraio del 1196 i Templari del capitolo di Barletta permutarono una terra che l'Ordine possedeva nei presso del casale di S. Cassiano con Aitardo, vescovo di Canne, che in cambio dava una terra prossima alla chiesa di S. Maria "de Saliniis". In un atto del 1200 sono ricordate le terre che la Domus Templi possiede a Canne. La chiesa di S. Maria de Saliniis et de Trinitate doveva corrispondere 3 libbre di cera et de thure tres in occasione dell'assunzione della Beata Vergine al Tempio.
L'8 novembre 1254 Dalmazio de Frinacarria, Maestro domorum Templi Ierosolimitani in Italia, mostrava "quandum cartulam quam exemplare fecit" redatta il 16 maggio 1158 con la quale Bonifacio, vescovo di Canne, cedette ai Templari la chiesa di S. Maria de Saliniis, situata "in pertinentia dicte civitatis Cannarum."
Probabilmente alla chiesa di S. Maria de Saliniis, vista anche la prossimità a proprietà fondiarie, doveva essere annessa una masseria che viene citata, come già appartenuta ai Templari, nell'inventario che nel 1373 Giacomo, vescovo di Trani, fa dei beni dell'Ordine dell'Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme.

Corato

La prima testimonianza a Corato di una chiesa intitolata a "San Vito de Templo" risale ad un documento notarile datato 1206 e riportato nel Codice Diplomatico Barese. L'intitolazione ha indotto qualche studioso (Capozza) ad ipotizzarne l'appartenenza all'ordine dei Cavalieri Templari, che avevano fondato "commende", ospedali e chiese in Puglia, in prossimità delle città portuali di imbarco per la Terra Santa, e che gestivano possedimenti terrieri nell'agro di Terlizzi e Ruvo. Inoltre le domus templari spesso avevano nella propria indicazione la dicitura "de Templo". La successiva citazione come "Templi S.Viti de Caurato" risale al 1276. La posizione della chiesa, fuori dell'abitato medievale, ma in prossimità di una delle porte di accesso alla città e dell'importante asse viario della Traiana ne fanno una presumibile stazione di accoglienza per viaggiatori e pellegrini. E' molto probabile che, visti anche casi analoghi, alla soppressione dell'ordine Templare, la chiesa sia passata ai Cavalieri Gerosolimitani o Ospitalieri, più tardi divenuti Cavalieri di Malta, dal momento che tarde testimonianze la dicono commenda dell'ordine Gerosolimitano già nel 1600. La presenza dei Templari a Corato rimane dubbia poiché non vi sono ulteriori riferimenti e citazioni in altri documenti.

Giovinazzo

La presenza dei Templari a Giovinazzo è attestata ormai già nel momento della crisi e del declino dell'Ordine. Infatti solo nel 1310, a seguito di una permuta con l'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, ottennero la proprietà della chiesa, con annesso ospedale, di San Pietro in località Rubissano. Oltre a tale chiesa i Templari ebbero pure una grangia (abbastanza ricca) in loco Piczani che nel 1332 apparteneva alla domus Hospitalis S. Johannis Jerosolimitani "que fuit Templi" che "annuatim de proventibus olivarum terra giis et pensione domorum unc. quatuor"

Minervino Murge

La presenza dei Templari in questo paese è documentata in un atto di vendita del marzo 1169, rogato dal notaio Leone, con il quale i Templari Aimo e Giovanni, "consensu et voluntate Henrici mag(istri) nostri cunctorum con(fratum) intus in civitate Minerbino", vendevano per un'oncia d'oro a Giovannaccio, priore della chiesa di S. Angelo, una vigna posta in località Monte Monacezzi. Tra i testi, oltre al suddetto Henricus, figura anche Oddo, fr(rater) sacri te(m)pli.

Molfetta

Sebbene non si conosca con certezza quando i cavalieri rossocrociati si siano stabiliti in questa città, la loro presenza è testimoniata in diversi documenti (spesso atti notarili) che vanno dal 1148 al 1373.
La prima citazione della presenza dei Templari risale al marzo 1148, a cinque anni dalla più remota testimonianza scritta in assoluto in Italia Meridionale che attesta un insediamento dei cavalieri a Trani nel 1143. Si tratta di una donazione del primicerio (capo del clero minore) Ungro di Leone all'abbazia della SS. Trinità di Cava nella quale viene ricordata una "terra cum olivis fratrum Templi" in località Vaditello di Molfetta. A tale data quindi i Templari già possedevano dei terreni coltivati ad olivo nel circondario di Molfetta. Dopo qualche anno nel febbraio 1152 da un atto di vendita di un molfettese al diacono Giovanni viene ricordata in località "Turris" una "terra Templi". Le proprietà dei Templari cominciarono ad accrescersi, come spesso accadeva, a causa di donazioni e lasciti a favore dell'Ordine. Nel giugno 1176 abbiamo notizia che tale Kalogiovanni, in qualità di epitropo (funzionario pubblico) del testamento di Ramfredo, dopo essere stato convocato da Durante per parte dei Templari, rilasciava allo stesso Durante una "petia terra olivarum" nelle pertinenze di Badistello, probabilmente si trattava di nuove proprietà che andavano ad aggiungersi a quelle citate nell'atto del 1148 vista la somiglianza tra Vaditello e Badistello che lascia supporre l'identità dei due luoghi. Poiché la concessione in questione è registrata "in curia domini nostri Roberti Palatini comitis Loretelli" ciò lascia supporre che l'Ordine templare, ancora alla fine del XII secolo, non avesse ancora a Molfetta una propria domus e che quindi le terre sopraccitate fossero amministrate dai Templari di una casa vicina.
Un atto dal quale possiamo trarre importanti e significative notizie risale all'agosto 1204 nel quale Maria, figlia di Giusto, per esaudire un voto di suo padre offre a Giovanni Salvagio, Rubensis domus sacre templi preceptoris, le pertinenze che possedeva sulla chiesa di S. Nicola. Abbiamo due interpretazioni circa il contenuto di questo documento.
Una prima interpretazione che è stata fornita è che la chiesa di S. Nicola è già domus precettoria dei Templari a Molfetta i quali tra la fine del XII e l'inizio del XIII si erano insediati stabilmente in città con l'apertura di una propria casa, sia per sfruttare il porto della città per imbarcare vettovaglie e persone per la Terra Santa e sia presumibilmente per meglio gestire le proprietà fondiarie che possedevano nelle campagne molfettesi. La chiesa di S. Nicola era ubicata nei pressi della piazza antistante l'attuale Palazzo di Città e i locali che furono un tempo il sacro edificio oggi sono stati trasformati nella Sala dei Templari usata per incontri, conferenze e mostre. A capo dei Templari presenti a Molfetta c'era tale Giovanni Salvagio da Ruvo, precettore della casa templare. Non appare molto chiaro tuttavia se il genitivo Rubensis (di Ruvo) sia da riferirsi alla città di nascita o provenienza del precettore, oppure sia da attribuire alla ubicazione di una domus. Secondo un'altra interpretazione Giovanni Salvagio sarebbe il precettore della domus Templare di Ruvo (città vicina a Molfetta) che esercitava il possesso e l'amministrazione delle terre templari nel territorio molfettese e che quindi giuridicamente era il rappresentante dell'Ordine atto a ricevere la donazione delle pertinenze sulla chiesa di S. Nicola, non ancora domus templare di Molfetta nel 1204. Nel marzo 1205 i coniugi Girabello e Maiorella di Molfetta vendono per sette once a frate Giovanni Salvagio per parte sacre domus Templi, una casa confinante con il cimitero della chiesa di S. Nicola ipsius Templi.
Possiamo affermare che una domus Templare a Molfetta esisteva con certezza nel febbraio 1216 ed era ubicata presso la chiesa di S. Nicola. Da un atto risulta che Gemmata, figlia di Leone Sammaro e vedova di Giustiniano, donava a Matteo, "confratri domus Templi sacre militie preceptoris sancti Nicolai in Melficta", tutte le sue terre poste nelle pertinenze di Guarassano. Negli anni successivi le proprietà fondiarie dei Templari continuarono ad aumentare come testimoniato in vari atti, tra cui in uno del 1214 sono ricordate le "olivas Templi" in località Badistello, in un altro del gennaio 1220 sono nuovamente ricordate le "olivas domus Templi" nella medesima località, mentre in un altro ancora datato 29 novembre 1232 sono citate "in pertinentiis Barbatti" presso Molfetta le "Olivas Templi". Ulteriori notizie degli oliveti Templari sono riportare nel Codice Diplomatico Barese in località "Pulo", in località "Summo" ed riportato anche la proprietà di un "clusum" nella stessa città.
Non si hanno più notizie sui Templari a Molfetta sino al 1308, quando oramai l'Ordine è nel pieno del suo declino. In una lettera data a Napoli il 18 maggio 1308 la regia curia scriveva al giudice Pietro de Ninna di Aversa, procuratore del Tempio di Barletta, perché Lippo Scafarelli ed altri mercanti fiorentini, dimoranti in Barletta, avevano prestato 1000 fiorini d'oro ai Templari della locale domus con l'approvazione di Ottone de Valderiaco, Maestro dell'Ordine cavalleresco in Puglia, e di Giacomo de Molay, Maestro generale, ricevendo in cambio tutto l'olio che la domus barlettana avrebbe ricavato dai possedimenti di Molfetta, valutato per la somma di 1500 fiorini circa. Poiché i beni dei Templari del Regno erano stati posti sequestro, ai fiorentini era stato concesso dal re e dal papa che per riottenere il loro credito avrebbero dovuto attendere fino al febbraio 1309 per la vendita dell'olio e se questa avesse ritardato, avrebbe potuto venderlo direttamente. In questa testimonianza possiamo valutare la portata della ricchezza dei possedimenti templari a Molfetta in termini di produzione di olio di oliva.
La chiesa di S. Nicola, con l'annesso ospedale, rimase ai Templari sino alla soppressione dell'Ordine (1312) e nel 1324 passò al conte Amelio del Balzo. Successivamente fu occupata dall'Ordine Gerosolimitano di S. Giovanni (Ospitalieri) e il 28 maggio 1373 quando Giacomo, arcivescovo di Trani, dando pratica attuazione alle disposizioni di Gregorio IX, procedeva all'inventario dei beni degli Ospitalieri della sua diocesi in cui, tra l'altro, risulta che la casa di S. Nicola di Molfetta, già appartenuta ai Templari, all'epoca dipendeva dal priorato di Barletta dell'Ordine dell'Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme. La chiesa in seguito compare nell'inventario dei beni della Commenda di S. Maria di Sovereto e, dopo essere andata in rovina, fu acquista dal Comune di Molfetta nel 1820.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:40 pm

I Templari in Puglia - PARTE SETTIMA -

Ruvo di Puglia

Dell'esistenza di una precettoria a Ruvo si ha notizia in due documenti del 1204 e 1205 redatti a Molfetta nei quali figura "Iohannes Salvagius Rubensis domus sacre templi preceptoris". I Templari dovevano possedere delle terre in zona molto estese o comunque assai fertili, tanto da attirare la cupidigia di signorotti locali nella seconda metà del XIII secolo. Infatti nel 1272 si ebbe un intervento di Carlo I d'Angiò a favore dei Templari di Ruvo per far cessare l'occupazione illecita delle loro terre da parte di Rinaldo de Culant, signore di Ruvo.
In un documento dato a Siena nel 1292 si ricorda che a Ruvo di Puglia i Templari possedevano una domus ricca ed importante, la quale attirava la cupidigia dei signori del luogo.
L'ultimo riferimento alla domus templare rubastina è fatto in un documento del 24 marzo 1308, dove compare, tra i Templari reclusi nel castello di Barletta, anche fra' Stefano di Antiochia "inventum et captum…in domo eiusdem templi que est in Rubo". È probabile che la domus Templare fosse ubicata presso la chiesa di Santa Maria di Calentano, già insediamento di monaci basiliani poi passata ai cavalieri Teutonici, ove uno studioso tedesco attribuisce degli affreschi presenti in detta chiesa ad un maestro templare.

Sovereto

Sulla presenza dei Templari a Sovereto non c'è concordanza da parte degli studiosi. Secondo alcuni (Bramato e Marinelli) la chiesa di Santa Maria di Sovereto fu dapprima una domus templare e, dopo la soppressione di quest'Ordine, passò ai Giovanniti, come accadde per altre proprietà templari in Puglia. Altri studiosi (De Giaco, Valente) negano decisamente l'esistenza di una domus Templare a Sovereto, sostenendo che l'unica presenza di Ordini Cavallereschi in questa località è quella Ospitaliera. In altre parole secondo costoro la chiesa di Santa Maria di Sovereto sarebbe sin dall'origine una domus dell'Ordine di San Giovanni dell'Ospedale di Gerusalemme.
Bramato afferma che, sulla base di una leggenda, intorno al 1188 i Templari "involarono" da Corsignano, nei pressi di Giovinazzo, un'immagine miracolosa della Madonna per custodirla nella loro chiesa di Sovereto. Da questo episodio avrebbe tratto origine la tradizione popolare che attribuisce ai Templari la chiesa patronale di Santa Maria e l'annesso ospedale. Questa è solo un fatto leggendario che non è suffragato da alcuna testimonianza scritta e qui si ferma lo studioso Bramato. Tuttavia da un inventario dei beni appartenenti agli Ospitalieri, già citato in altre circostanze, redatto nel maggio 1373 da Giacomo, arcivescovo di Trani, emerge, tra l'altro, che la casa di Santa Maria di Sovereto, all'epoca dipendente dal priorato di Barletta dell'Ordine dell'Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme era in precedenza Templare.
La prima citazione documentata della "Ecclesia Sancte Marie de Suberito" risale al 1175. Stando al Valente, sappiamo con certezza che dai primi anni del Trecento a Sovereto operò l'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (Ospitalieri). Prima di questa data vengono chiamati in causa tanto l'Ordine Gerosolimitano quanto quello Teutonico che quello dei Templari. Da un documento del 1203 si apprende che già da quella data operava nella chiesa di Sovereto, con l'annesso ospedale, un ordine religioso maschile non meglio precisato. È da escludere una presenza dell'Ordine Teutonico, istituito nel 1198, ed è improbabile che in soli cinque anni i Teutonici avessero già delle proprie case in Puglia. Secondo il Valente sono da escludere anche i Templari, Ordine religioso all'inizio eminentemente militare che solo successivamente si dedicò all'assistenza ospedaliera. Per esclusione lo studioso afferma che la comunità maschile presente a Sovereto, almeno dal 1199, che gestiva l'hospitale era quella Giovannita, che alla metà del XII secolo era l'ordine più noto e diffuso. A testimonianza di ciò vi sarebbero altri documenti citati dal Valente nel suo studio e delle lastre tombali di cavalieri e precettori Giovanniti dei secoli XIII e XIV.

Spinazzola

In questo paese i Templari ebbero il castello di Guarascone, la chiesa di San Benedetto "de nuce", ubicata in località san Cesario, la chiesa di San Giovanni al castello ed altri beni vicini alle terre appartenenti alle monache di Gravina. Tali beni con la soppressione dell'Ordine del Tempio passarono ai Giovanniti: infatti ne abbiamo notizia dall'inventario dei beni degli Ospitalieri redatto nel maggio 1373 da Giacomo, arcivescovo di Trani.

Terlizzi

Da un documento rogato a Giovinazzo il 18 febbraio 1279 apprendiamo che Viviano, priore e procuratore dell'Ordine Templare in Puglia, dichiarava che l'Ordine cavalleresco "habet et possideat in Terlicio ecclesiam unam que vocatur Santa Maria de Muro" . Tale chiesa era titolare di terre, orti, vigne, oliveti, case ed altre proprietà fondiarie e Viviano, non potendone curare l'amministrazione, locava la metà di tali beni per un periodo di dieci anni al diacono Angelo per unici tarì annui. La consistenza del patrimonio immobiliare della domus di Santa Maria de Muro nella seconda metà del XIII secolo lascia supporre che la presenza dei cavalieri templari a Terlizzi sia di molto anteriore alla data del documento succitato. Con l'abolizione dell'Ordine la chiesa di Santa Maria de Muro cadde in rovina e venne sospesa al culto nel 1725.

Trani

Era uno dei più importanti porti della Puglia, da sempre crocevia di popoli e culture del Mediterraneo e porta per l'Oriente, testimone con le sue chiese, con i suoi palazzi e con la sua storia, di quell'età di mezzo, da sempre ricca di fascino e di mistero.
Fu, pertanto, già nei primi anni di vita dell'Ordine che i Templari stabilirono lungo le vie di transito per Gerusalemme, le loro domus o mansioni, sorte, secondo l'idea per cui lo stesso Ordine era nato, a difesa e soccorso dei pellegrini, che si recavano ai Luoghi Santi. La tradizione vuole che i Templari abbiano costruito la chiesa di Ognissanti nella prima metà del XII secolo: infatti, la prima testimonianza della presenza a Trani dei cavalieri rossocrociati ci viene offerta dal Diacono Amando, futuro Vescovo di Bisceglie, il quale nella sua "Historia Traslationis Sancti Nicolai Peregrini" , riferendo sul fatto portentoso, che nel corso della cerimonia di traslazione del corpo del Santo, in un cielo completamente terso, si erano all'improvviso levate dalla Cattedrale due colonne di nuvole, asserisce che a tale processione erano presenti anche i Cavalieri del Tempio.
Dalle antiche carte risulta che i Templari dimoravano poco lontano dalla città: in effetti nel 1143 Trani aveva una cinta muraria, che lasciava "extra-moenia" tutta la parte nord-occidentale del porto e quindi anche la chiesa di Ognissanti che, con i corpi di fabbrica che la circondano, costitutiva l'antico Ospedale e Abbazia, che ospitava i "Poveri Cavalieri di Cristo". Il tutto ci viene confermato da una lapide murata in prossimità dell'accesso secondario destro del Tempio, contenente la seguente iscrizione:
"Hic Requiescit Costantinus Abbas Et Medicus Orate Pro Anima Eius".
Costantino, dunque, un Templare appartenente alla classe dei canonici, Medico e Abate-Rettore della "Domus" tranese. Volendo datare questa lapide andremmo sicuramente oltre il 1139, anno in cui Papa Innocenzo II emanò la Bolla "Omne Datum Optimum" , fonte di tutti i privilegi dell'Ordine e in cui veniva istituita la figura dei Cappellani per il servizio religioso e liturgico delle Commende. In precedenza i Canonici avevano prestato servizio "per misericordia"; erano "distaccati" presso le domus e non appartenevano all'Ordine.
Ne attesta, altresì, la paternità templare una serie di numerosi documenti: l'Abbazia di "Omnium Sanctorum de Trani" è ricordata, infatti, nel testamento datato 6 luglio 1170 del notaio ravellese Orso Rogadeo, che dona a questo Tempio alcuni beni; ed ancora in un documento del 1158 dove Giovanni de Pagani, protettore dei Templari, consente alla donazione di un tale Boemondo, barone delle Puglie, a favore dell'Ordine, di alcuni suoi beni posseduti in Trani. Nel 1191 Abelardo de Pagani, figlio di Giovanni, dà il consenso per la concessione di una sepoltura al Giudice Lucifero in una chiesa di Trani, che viene indicata come "Grancia dei Cavalieri del Tempio". Tale chiesa è forse da identificare con quella di San Giovanni, alla quale Alferada, vedova di Ruggiero "de sir Sommaro" offriva il 28 settembre 1295 alcuni beni.
Altro documento a noi pervenuto è del 1196 e fa riferimento ad un certo Alferius, praeceptor della domus tranese; ed ancora un documento del 1213, che attesta l'avvenuto consesso presso la domus praeceptoria dei Cavalieri del Tempio di Trani del Capitolo Apulia-Terra di Lavoro, presieduto da Pietro di Ays, magister provinciale.
L'Ordine dei Templari ebbe la Chiesa di Ognissanti sin dal tempo di Ruggero II il Normanno (Re di Sicilia) e la mantenne sino alla soppressione dell'Ordine avvenuta nel 1312 ad opera di Papa Clemente V con le Bolle "Vox Clamantis In Excelso" (22 Marzo) e "Ad Provvidam" (2 maggio).Le persecuzioni contro l'Ordine erano iniziate già nel 1307 con i primi processi dell'inquisizione, ma fu nel 1312 che le cose precipitarono vertiginosamente, fino alla drammatica caduta e al rogo, su cui nel 1314 arse l'ultimo Gran Maestro del Tempio, Jacques de Molay. Infatti, in una lettera datata 12 Agosto 1308 inviata da Pontiers, Clemente V si rivolge agli arcivescovi di Napoli e Brindisi, al Vescovo di Avellino; ad Arnuldo Bataille, Arcivescovo di Natzamia; al Maestro Berengario de Olargis, canonico narbonensis, e a Giacomo Carapelle, canonico di S.Maria Maggiore "de Urbe" ed ordina loro di recarsi nelle città, nelle diocesi e nelle province di Trani, Sorrento, Capua, Cosenza, Reggio, Napoli, Bari, Acheronte, Brindisi, Salerno, Benevento, Consana, S.Severina, Taranto, Siponto, Otranto, Rossano, Amalfi e svolgervi con diligenza l'inchiesta "circa apostasiae salus, detestabile ydrolatiae vitium, execrabile facimus sodomorum et haeres varias de quibus accusabantur magister et fratres militiae templi".
Negli anni immediatamente successivi allo scioglimento dell'Ordine tutti i beni immobili dei Templari vennero ceduti ad altri Ordini Religiosi e tra questi particolarmente privilegiati furono i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (Gerosolimitani) e i Cavalieri Teutonici. E' datata - Vienne, 2 maggio 1312 - una lettera in cui Clemente V affida a Leonardo, Arcivescovo di Siponto, ai Vescovi di Termoli e di Civitate, ad Oddone, Arcivescovo di Trani; al Vescovo di Melfi e al Vescovo di Monopoli; a Landulfo, Arcivescovo di Bari; a Bartolomeo, Arcivescovo di Brindisi e al Vescovo di Canne, l'esecuzione del passaggio dei beni Templari all'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.
Ancora, in una lettera datata 1 dicembre 1318, Giovanni XXII incarica l'Arciprete della Cattedrale di Trani, nonché il Priore dei Frati Predicatori ed il Guardiano dei Frati Minori di moderare l'assegnazione effettuata da alcuni Vescovi, dei beni già Templari ai Gerosolimitani, in modo che il superfluo venga utilizzato per la Terrasanta.
Da questi documenti si evince che i beni dell'Ordine Templare della Diocesi tranese siano passati ai Gerosolimitani, che proprio a Trani, al di là del bacino del porto, verso Oriente, avevano un loro Monastero di San Giovanni della Penna con annessa domus hospitalis.
Tutto questo, almeno per la chiesa di "Omnium Sanctorum", fino al 1378, anno in cui in un documento datato 29 Ottobre appare come Abate e Rettore Stefano Castaldi (appartenente ad una delle più cospicue famiglie del tempo). Custodita da Paolo de Turris (o Turcolis), Vescovo di Conversano e da suo nipote Filippo, venne donata nel 1479 a Pietro Lambertini, divenendo Cappella di patronato di quell'illustre famiglia.
Successivamente, come attesta il Beltrani attingendo la notizia da un documento datato 15 Gennaio 1524, il patronato della chiesa fu posseduto dalle famiglie: de Justis, Castaldi, Rogadeo, Achonzaico, dalle quali tornò in seguito ai Lambertini.
Una conferma inconfutabile di tale circostanza è costituita dagli stemmi in bassorilievo, scolpiti sull'architrave di accesso alla sacrestia, nel seguente ordine:
De Justis: col campo attraversato obliquamente da una fascia con sei corolle di gigli.
Castaldi: campo partito in tronco con leone rampante nella parte superiore e tre fasce oblique nell'inferiore.
- Lambertini: leone rampante a tutto campo;
- Rogadeo: figura inginocchiata ed orante davanti ad una croce greca con tre stelle;
- Achonzaico: campo a scacchiera nella parte centrale e tre gigli.
Si tratta di famiglie di origine ravellese - ricordiamo che Ravello - al tempo - faceva parte del contado di Amalfi. Molto probabilmente le lapidi con i cinque stemmi fu apposta dal più illustre esponente della famiglia dei Lambertini: Cesare, che la fece murare tra il 1524 e il 1551 (anno della morte del Lambertini). Intorno al 1780 ebbe fine lo "ius patronale".
Scarse e poco attendibili sono le notizie sulla chiesa di Ognissanti nei secoli XVII e XVIII. Nei primi anni del secolo e comunque entro il 1807, l'Arciconfraternita della Beata Vergine dei Sette Dolori ebbe sede nella nostra chiesa, prima di trasferirsi l'anno successivo in quella di S.Teresa, resa disponibile dalla soppressione del convento dei Santi Teresa e Marco dell'Ordine Carmelitano.
Nel 1832, in seguito alla demolizione dell'antica chiesa dell'Annunziata (Piazza Longobardi), ne ospitò l'omonima Confraternita. Nel 1872 fu chiuso il vicoletto che costeggiando la chiesa menava direttamente al mare. Eretta parrocchia nel 1940, la chiesa "vulgo" denominata anche del Purgatorio, ha cessato di esserlo nel 1975.
E' stata sede, negli anni ottanta, del Terz'Ordine Francescano.
Attualmente la chiesa è aperta la domenica mattina ed è possibile visitarla.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:41 pm

I Templari in Puglia - PARTE OTTAVA -

I Templari in Capitanata

Nella Puglia settentrionale prevalevano gli insediamenti interni nelle fertili terre della Capitanata, ad eccezione di Manfredonia, che era un porto d’imbarco di un certo rilievo e Monte Sant’Angelo sul Gargano, tra l’altro meta dei pellegrinaggi medioevali.
Le domus della Capitanata erano dedite alla coltivazione e alla raccolta di cereali e legumi che venivano imbarcati per la Terra Santa.
Poiché molti dei beni templari in Capitanata furono confiscati per ordine di Federico II e ne fu redatto un inventario disponiamo di informazioni molto analitiche circa la consistenza del patrimonio fondiario templare e il reddito che esso produceva.
Dal Quaternus de excadenciis apprendiamo che la proprietà fondiaria templare nella Capitanata alla metà del XIII secolo era costituita da almeno 37 domus, 68 casalini, 24 terrae, 10 vinee, 10 peciae, 7 orti, 7 vineali, 3 saline, 2 oliveti, 1 tenimentum, 1 desertinum ed 1 terricella.
Tali proprietà producevano grano, orzo, olio, vino e mandorle per un reddito annuo valuto in 197,80 once pari a 5,7 kg di oro.
A tale valore andrebbero aggiunti i redditi di altre terre templari, come Salpi e Lucera, non menzionate nel predetto inventario oppure per le quali non è fornito il reddito annuo.
Si otterrebbe una resa annua, secondo i calcoli fatti dagli studiosi, molto prossima alle 250 once che farebbe annoverare il patrimonio fondiario dei Templari in Capitanata tra quelli più cospicui posseduti dalla Militia Dei (ed anche dagli altri Ordini cavallereschi) nel regno di Sicilia.
Ciascuna comunità templare attiva in Capitanata, al fine di mantenere i livelli di produzione e di reddito sopramenzionati, si avvaleva delle prestazioni lavorative di servientes-rustici a seconda delle proprietà fondiarie da essa amministrate e delle colture praticate e, in caso di necessità, anche del contributo di lavoranti stagionali.
Secondo i calcoli fatti dal Bramato in Capitanata dovevano essere presenti almeno una trentina di servientes-rustici dediti a tempo pieno all’attività agricola.
Per il sostentamento di costoro venivano spese circa 21 once annue.
Accanto a tali costi i bilanci delle fondazioni templari dovevano comprendere anche l’autoconsumo di milites, presbiteri ed oblati, le spese per la manutenzione delle chiese e delle proprietà fondiarie, per l’alimentazione di cavalli e buoi, per l’acquisto di nuovi terreni e il pagamento dei censi, per gli abiti, la cera e l’olio per le lampada e tutto quant’altro indispensabile per l’ordinaria amministrazione e la vita quotidiana.
Al netto di tali costi restavano 120-150 once all’anno che venivano impiegate per inviare derrate alimentari in Terra Santa tali da consentire il sostentamento di circa 300 confratelli (secondo dei calcoli effettuati dagli studiosi) oppure per l’acquisto di capi di bestiame.

Alberona

Ad Alberona i Templari possedevano la chiesa di Santa Maria di Bulgano, o Vulgano che fu loro donata da Corrado, conte del Molise.
La chiesa nella prima metà del XIII secolo fu espropriata di una domus e di una terra il cui reddito annuo era di otto salme di grano.
La situazione cambiò decisamente con l’avvento degli Angioini e verso la fine del XIII sembra che l’intera Alberona fu infeudata all’Ordine Cavalleresco.
Abbiamo notizia di parecchi interventi di Carlo II d’Angiò a favore dei Templari di Alberona.
L’8 settembre 1296 il sovrano angioino ordinava ad Adblassis de Luceria Sarracenorum (probabilmente un saraceno stando al nome) di restituire ai Templari di Alberona i porci e il pollame che aveva loro sottratto illecitamente.
Con una lettera del 14 maggio 1297 indirizzata al Giustiziere di Capitanata, Carlo II d'Angiò ordinava che il Magister ed i frati templari della domus di Barletta non fossero molestati per il servizio militare nei feudi di Bersentino, Alberona e Lama.
Il 19 luglio 1297 Carlo II d'Angiò scriveva a Baldovino Tristaino, Capitano di Lucera, affinché il Magister e i frati templari di Barletta, possedendo il casale di Alberona, potessero continuare a far pascere i loro armenti nel tenimento di Tora.
Un intervento analogo del re, sempre presso il Capitano di Lucera, ebbe luogo nel luglio dell’anno successivo per il riconoscimento di un diritto di pastura.

I Templari restarono in questo paese sino al 1307.
Con l’abolizione dell’Ordine Templare Carlo II d’Angiò la assegno agli Ospitalieri e a questi, divenuti nel frattempo Cavalieri di Malta, restò sino al 1809.

Da una lettera datata 25 gennaio 1313 scritta da Roberto d'Angiò, per parte dei cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni, a Bartolomeo di Capua e Giovanni Pipino di Barletta, sappiamo che la precettoria di Alberona, posseduta dai Templari sino alla data della loro prigionia, comprendeva anche il casale di Serritella, del quale si era impadronito arbitrariamente Bartolomeo Siginolfo, feudatario di Pietra Montecorvino, in occasione dell'arresto dei Templari.

Fiorentino

In questo paese i Templari possedevano: 13 domus, 1 vinea ed 1 ortum, il cui reddito assommava a 42 grani, 10,5 tarì ed 8 salme di vino.
Inoltre nel 1272 disponevano anche di un mulino.
In tale anno, infatti, nella persona del Maestro Provinviale Guglielmo de Bellojoco si rivolsero al re Carlo I d’Angiò affinché cessassero le molestie poste in essere a loro danno da parte di Rainulfo de Culant.
Foggia

La prima notizia di un insediamento Templare nella città dauna risale alla seconda metà del XII secolo.
Durante il pontificato di Celestino III, dopo la morte di Guglielmo II (1189) iniziò un periodo di forte instabilità politica del quale l’Ordine Templare ne approfittò, appropriandosi illecitamente di alcune terre intorno a Foggia, dove era attiva una domus identificabile, con buona probabilità, con la eccelsia di San Giovanni de Templo, chiesa che nel 1212 fu data alle fiamme durante un’incursione di cittadini della vicina città di Troia.
Non sappiamo se dopo tale distruzione la chiesa fu ricostruita o meno, mentre quello che appare certo è che i Templari continuarono ad essere presenti a Foggia con una propria fondazione, i cui beni si estendevano sino a Salpi e Siponto.
Precettore della domus foggiana nel 1213 era Geremia, come si evince da una controversia sorta tra i Templari di Foggia e il monastero di San Leonardo di Valle Voloria circa il possesso della chiesa di Sant’Arcangelo presso Bersentino e la chiesa di Santa Maria presso Lama Ciprandi.
La questione fu risolta con una permuta delle due chiese con degli appezzamenti di terra che i Templari avevano nei pressi di Foggia che furono ceduti al monastero di San Leonardo.
In documento del luglio del 1228 compare Rogerio, precettore della domus Templare di Foggia.
Intorno alla metà del XIII secolo il patrimonio della domus foggiana, in buona parte sequestrato da Federico II, era costituito da 88 (25 non producevano reddito perché non erano occupati) casili, 2 domus, 1 pecia, 12 terrae, 1 terricella, 8 vinee ed 1 vineale.
Tali proprietà rendevano alla Curia Imperiale almeno 13,40 once, equivalenti a circa 358 grammi di oro.

Verso la fine del XIII secolo, nel 1294, tale Ippolito Carpenterio e sua moglie, entrambi di Foggia, donavano all’Ordine del Tempio tutti i loro beni conservandone l’usufrutto vita natural durante.

Lama Ciprandi

Enrico VI, considerati i meriti dei Templari, ed in seguito alle preghiere di Goffredo, figlio di Stefano e Maestro delle domus templari in Puglia, concedette all’Ordine militare il 29 aprile 1196 la Lama Ciprandi, già feudo di Rogerio Ebriaco de Terno.
Qui i Templari ebbero la propria domus presso la chiesa di Santa Maria della quale risultava essere precettore nel 1213 Guido.
In tale anno questa chiesa fu oggetto di una controversia con il monastero di San Leonardo di Valle Volarla, ma rimase in possesso dei Templari che tuttavia lasciarono questa località negli anni immediatamente successivi: infatti nell’ottobre del 1216 il castrum di Lama Ciprandi apparteneva al monastero di S.
Pietro di Torre Maggiore.
Tuttavia è probabile che i Templari rientrano in possesso delle proprietà a Lama Ciprandi nel 1288, quando il monastero di Torre Maggiore passò dai Benedettini ai Templari.
Con una lettera del 14 maggio 1297 indirizzata al Giustiziere di Capitanata, Carlo II d'Angiò ordinava che il Magister ed i frati templari della domus di Barletta non fossero molestati per il servizio militare nei feudi di Bersentino, Alberona e Lama.




Lucera

La presenza templare a Lucera nel corso del XIII secolo fu particolarmente rilevante a tal punto da suscitare invidie e gelosie da parte di altri ordini religiosi.
Infatti il 16 giugno del 1226 il papa Onorio III intervenne in una controversia tra i Templari di Barletta e i cistercensi di Casanova (Penne) per alcuni possedimenti compresi tra Lucera e Serra.
Nei dintorni di tali località i Templari possedevano diverse masserie ricordate in un documento del 17 febbraio 1303, quando Carlo II d’Angiò scriveva a Santoro da Bitonto, a Giacomo da Peschici e al giudice Tommaso da Guglionisi affinché procedessero alla trattazione della causa tra i Templari e gli ufficiali della Curia per il possesso delle masserie di Casanova, S.
Lucia di Rivamorto e Macchia Pentaricia, situate nel territorio di Lucera.
La causa era stata commessa ai predetti da lungo tempo e sempre dilazionata.
Qualche anno dopo i Templari vennero molestati nei loro beni e nelle loro persone e il papa Benedetto XI intervenne in loro difesa comandando in una lettera del 20 giugno 1304 al vescovo di Santa Maria (Lucera) di far cessare le molestie nei confronti dei frati.

Nella primavera del 1307 i beni dei Templari di Lucera furono sequestrati e affidate alle cure di Bartolomeo de Carbonaro di Salpi e al notaio Giacomo di Santa Maria, amministratori per conto della Chiesa.
A costoro il 27 marzo 1309 Roberto d’Angiò ordinò di mettere a disposizione quaranta buoi e tutti bufali appartenuti ai Templari delle maestranze impegnate nel cantiere dell’erigenda chiesa di Santa Maria di Lucera.

Salpi

L’esistenza di una domus a Salpi è da far risalire alla fine del XII secolo.
In un documento del febbraio 1196 viene citato un Raul, precettore Templari di Salpi (Salparum preceptor).
La fondazione templare di Salpi è ricordata parecchie volte nel corso del XIII secolo.
Essa era ubicata presso la chiesa di Santa Maria de Caritate, come risulta da un documento datato 5 ottobre 1211 che riporta l’acquisto da parte di Guglielmo, ecclesiastico della chiesa di S.
Maria de Caritate, di quarantuno alberi di olivo con la terra adiacente al prezzo di un’oncia in località Ferolitum.
).
Il 5 luglio 1213 Arduino disponeva di essere sepolto nel cimitero di S.
Maria de Caritate, domus templare di Salpi, e che il suo funerale fosse celebrato i nella stessa chiesa alla quale donava per questo motivo tre pezzi di terra.
La stessa chiesa è ricordata in una donazione del dicembre 1228 e in un atto di vendita dell’agosto del 1229.
La fondazione templare salapina, oltre che ad occuparsi della cura dei propri terreni, ritirava per conto della casa madre di Barletta le salme di sale che il preposto delle saline pugliesi occasionalmente attribuiva all’Ordine cavalleresco, come testimoniato in un documento del 1275.
A Salpi i Templari possedettero pure una masseria denominata “Terra Sipontina”: il 5 marzo 1297 Carlo de Lagonessa, feudatario di Salpi, si raccomandava con i suoi vicari affinché non venissero molestati i Templari nel possesso di tale, situata in pertinentiis Salparum.


Torre Maggiore

I Templari ebbero come propria mansione il monastero di San Pietro, che nel 1288 passò dai Benedettini al Ordine del Tempio.
In seguito Il 9 luglio 1295 il papa Bonifacio VIII attribuiva ai Templari di Torre Maggiore insieme il castrum di San Severo, San Andrea de Scarsia Rivalis, il casale dello stesso monastero e altri casali, chiese e pertinenze.
Da un documento del 3 novembre 1306 apprendiamo che il casale Royarium dell’abbazia di Torre Maggiore, donato da Bonifacio VIII, è stato oggetto di devastazione da parte degli uomini di S.
Martino in Pensule, e di questo si lamentano con il re Roberto d’Angiò.
La domus di Torre Maggiore, la più settentrionale della Puglia, vide accrescere rapidamente le sua importanza tanto da essere ritenuta idonea per la celebrazione delle cerimonie d’ingresso all’Ordine.
Di una di tale cerimonia sappiamo dai verbali di una deposizione resa a Penne nel 1310 da frate Cecco.
Questi, verso il 1297, dopo tre anni dalla ricezione nell’ordine fu mandato in Puglia “in loco seu mansione Turris Maioris de Capitanata” dopo fu sottoposto a dei riti che non era stato possibile celebrare a Roma.

Il 25 gennaio 1313 Roberto d'Angiò, per parte dei cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni, scriveva a Bartolomeo di Capua e Giovanni Pipino di Barletta, affermando che la baronia di Torremaggiore e San Severo in Capitanata, già dei Templari, era in loro possesso come tutti i beni appartenenti all'Ordine soppresso.
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MessaggioTitolo: Re: L'Ordine del Tempio (1119-1307)   L'Ordine del Tempio (1119-1307) - Pagina 2 Icon_minitimeSab Nov 10, 2007 12:43 pm

I Templari in Puglia - PARTE NONA -

Versentino (Bersentino)

La domus templare di Versentino è da identificare con la chiesa di San Arcangelo ottenuta dai Benedettini di Valle Volaria in cambio di un pezzo di terra nei pressi di Foggia (per maggiori notizie sulla vicenda si veda quanto scritto a proposito dei Templari presenti a Foggia).
È probabile che dopo il 1229 i Templari di Versentino furono privati dei loro beni dei quali rientrarono in possesso nel periodo angioino come attestato da un documento del 1285 della Regia Cancelleria.
I sovrani angioini si mostrarono assai ben disposti verso i Templari: infatti verso la fine del XIII i cavalieri rossocrociati di Barletta ottennero in feudo l’intero paese di Versentino con tutto il territorio circostante.

Volturino

La domus templare di Volturino era Santa Maria della Serritella la chiesa dell’antico casale Serritelle, ormai scomparso, che dipendeva dalla vicina mansione di Alberona.
La presenza dei Templari era giustificata dal traffico stradale che si svolgeva presso il Canale della Serritella, nel quale trovavano riposo ed assistenza i viandanti che, dopo aver oltrepassato il valico del Lupo, negli impervi monti dauni, si accingevano a scendere nella piana della Capitanata.
Si trattava di pastori transumanti, di pellegrini e di crociati diretti verso i porti pugliesi.

Da una lettera datata 25 gennaio 1313 scritta da Roberto d'Angiò, per parte dei cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni, a Bartolomeo di Capua e Giovanni Pipino di Barletta, sappiamo che del casale di Serritella si era impadronito arbitrariamente Bartolomeo Siginolfo, feudatario di Pietra Montecorvino, in occasione dell'arresto dei Templari.
Dopo l’emanazione della Bolla “Ad provvidam Christi vicarii” del 3 maggio 1312 i Giovanniti rivendicarono presso il re i propri diritti sul casale.
Non sappiamo come la vicenda venne a concludersi, tuttavia da un documento del 1324 sappiamo che i beni dei Templari di Alberona erano stati ereditati dagli Ospitalieri.

La chiesetta di Santa Maria della Serritella esiste a tutt’oggi e si trova a cinque chilometri di distanza dall’abitato di Volturino: è meta di pellegrinaggio durante la festa patronale che si tiene la prima domenica di maggio.

I Templari in Terra d'Otranto

Nella Puglia meridionale gli insediamenti templari erano molto limitati, probabilmente ciò è da collegarsi alla scarsa possibilità di sviluppo agricolo dovuto alla mancanza di risorse idriche nella zona e al carattere prevalentemente carsico del territorio.
Di rilievo erano sicuramente i porti di Brindisi e, in misura minore, Otranto.

Sulla base di documenti a noi pervenuti si ha notizia della presenza dei Templari in Terra d’Otranto, sin dalla seconda metà del XII secolo, nelle località che seguono...

Brindisi

Una fondazione templare era operativa a Brindisi dal 1196, quando, nel febbraio di quell’anno, era amministrata da Ambrogio.
Secondo lo storico locale P.
Coco i Templari si sarebbero insediati a Brindisi in epoca normanna, forse intorno al 1169.
In una cartula di papa Onorio III datata 24 luglio 1217 viene fatto cenno al Maestro e ai frati Templari di Brindisi e Genova.

Con l'avvento della casa di Svevia sul trono di Sicilia, le case templari subirono confische e sequestri.
Un notevole ridimensionamento fu subito anche dalla mansione brindisina.
Federico II, infatti, al fine di contenere l'ingerenza della Chiesa nei suoi stati, aveva promulgato nel 1228 la costituzione “Predecessorum Nostrorum”, con la quale tutti i beni acquistati dagli Ordini durante la sua minore età, eccettuati quelli posseduti dagli stessi prima della morte del re Guglielmo II (1189), dovevano essere restituiti alla corona.
Le limitazioni ed i condizionamenti imposti alla domus di S.
Giorgio del Tempio in Brindisi sono determinati, fra l'altro, dalla successione di prelati nella cattedra vescovile vicini agli interessi dello Svevo quali Pellegrino (1216-1222), Giovanni da Traietto (1224), Pietro Paparone (1231-1248), dalla crescente importanza del porto di Barletta nella politica estera e commerciale dell'epoca.
Un documento del 1244 riporta il nome di frate Bonesigna (o Bonasenga) quale precettore della domus brindisina.

In virtù di una nuova politica filopapale e delle rinnovate attenzioni mostrate da Carlo d'Angiò per le città costiere di Puglia in un'ottica espansionistica d'Oltremare, tornò alla ribalta la Sacra Militia Templi in Brindisi.
Reintegrata parzialmente nelle antiche proprietà, la casa di S.
Giorgio, grazie alle protezioni della Chiesa e all'accondiscendenza della corona angioina, perseguì con tutti i mezzi il profitto orientando i suoi interessi economici nell'imprenditoria marittima non disdegnando, frequentemente, l'illegalità.
Nel 1269 e 1270, infatti, fra Ginardo, precettore templare in Brindisi, aveva posto sotto sequestro nel porto le navi mercantili di Matteo il veneziano, quelle di Fusco Campanino di Ravello e di altri mercanti veneziani, di Fermo ed Ancona, derubandole del loro carico e imprigionando alcuni marinai nel castello regio.

Nel 1275 Carlo I d’Angiò invitò l’Ordine Templare ad inviare un frate per la sorveglianza, assieme agli ufficiali regi, della ricostruzione di una torre-faro nel porto, allo scoglio detto del Cavallo, lungo la costa meridionale brindisina.
Tale richiesta veniva motivata con il fatto che i Templari avevano un intenso traffico in uomini e merci fra Brindisi e la Terra Santa.
Nel porto di Brindisi svernano le navi templari di Puglia e nei suoi cantieri venivano effettuate le riparazioni.
Abbiamo testimonianza che il 3 agosto 1278 Carlo I d'Angiò scriveva a Giovanni Siginolfo e ad Angelo Sannello, portolani di Puglia e Abruzzo, facendo loro sapere che per suo ordine Simone di Belvedere, viceammiraglio del regno dal fiume Tronto a Crotone, aveva fatto riparare la nave S.
Maria dei Templari nel porto di Brindisi.
Tale nave presto avrebbe trasportato sino ad Acri Ruggero di Sanseverino, conte de' Marsi e vicario generale del Regno di Gerusalemme, 35 cavalli, un carico di biscotti e altre vettovaglie.

Nel 1289 fu precettore di S.
Giorgio in Brindisi fra Guglielmo da Nozeta (o Noset).
Sono documentati in questa domus, inoltre, il miles fra Guglielmo de Beriant e i servienti fra Jacopo da Ancona, Vassilio da Marsiglia, oltre che Ruggero da Flor (Flores).
Questi era figlio di Riccardo Blumen, falconiere di Federico II, che aveva latinizzato il proprio cognome in Flores e di una nobildonna brindisina, probabilmente della famiglia dei Ripalta, nacque in Brindisi tra il 1266 ed il 1267.
Rimasto orfano del padre, perito in battaglia, fu affidato dalla madre, intorno al 1280, a Fra Vassayl da Marsiglia, converso templare della Casa brindisina.
Ruggero, non fu mai un frate dell'Ordine, né un sergente, ma semplicemente uno dei tanti maestranti che lavoravano per l'istituzione monastico-cavalleresca.
Cresciuto nella Casa del Tempio, all’età di vent'anni, per le precoci e notevoli capacità nella pratica marinara dimostrate, gli fu affidato il comando di una nave che l'Ordine aveva acquistato dai Genovesi e denominata "Il Falcone del Tempio".
Per conto del Tempio, nel 1291, accorse in aiuto della popolazione cristiana di Acri, riuscendo a metterla in salvo a Mont-Pelerin.
Accusato dal Gran Maestro Jacques De Molay di essersi procurato illeciti profitti, aver borseggiato ed estorto danaro ai profughi cristiani, fu congedato dall'Ordine e lo stesso Falcone disarmato a Marsiglia.
Successivamente offrì i propri servigi come mercenario e capitano di ventura agli Angioini, agli Aragonesi e all’imperatore di Bisanzio.

La domus brindisina, come già accennato, era ubicata nella chiesa di San Giorgio de Templo, la quale nell’ottobre del 1260 pagava all’erario ben quindici tarì d’oro annui.
Erroneamente gli studiosi (tra cui anche Caponio, Imperio e Valentini in “Guida all’Italia dei Templari”) e la tradizione hanno considerato il loggiato presente in piazzo Duomo come un resto della domus templare, tanto da chiamarlo portico dei Templari.
Il portico, stando alla documentazione locale, costituiva il piano terra del palazzo che appartenne alla nobile famiglia De Cateniano, citata in alcuni documenti in Brindisi fin dal XIII secolo.
Lucio De Cateniano (la famiglia si estingueva sui finire del XVI secolo), sindaco di Brindisi tra il 1551 ed il 1556, donò all'ospedale civico o dei poveri, all'epoca istituito con pubbliche donazioni, le sue proprietà in piazza Duomo.
Inoltre, un’attenta analisi dell’architettura, suggerisce uno stretto legame con le costruzioni fortificate monastico-cavalleresche del medio oriente.
La sottostante insula dei cavalieri gerosolimitani alla marina, non escluderebbe una originaria appartenenza del portico al complesso dell'Ordine Ospedaliero, membro in seguito accorpato nel palazzo De Cateniano.

Secondo qualche studioso locale, i Templari ebbero anche una seconda sede presso la chiesa di San Giovanni al Sepolcro, collegata da una strada ancor oggi chiamata via dei Templari.
Il Vacca sostiene che la chiesa di “San Giorgio de Templo” era ubicata nei pressi della stazione ferroviaria, laddove esiste un bastione denominato San Giorgio, ultimo residuo dell’antica domus templare.
Lo stesso autore, invece, rigetta l’ipotesi che la chiesa di San Giovanni al Sepolcro appartenesse ai cavalieri rossocrociati.

Il 15 maggio del 1310 a Brindisi si inaugurò nella chiesa di Santa Maria del Casale il processo ai Templari del Regno di Sicilia delle cui vicende si rimanda alla parte dedicata nel paragrafo del capitolo secondo intitolato “Il declino dell'Ordine.
Le Inquisizioni e il processo di Brindisi”.

Nel 1312 tutti beni dei Templari di Brindisi passarono ai cavalieri di San Giovanni.
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I Templari in Puglia - PARTE DECIMA ED ULTIMA -

Lecce

L’Ordine dei Templari in questa città ebbe la Chiesa di Santa Maria del Tempio, nota anche come Santa Maria della Sanità.
Essa sorgeva nella via che da piazza Sant’Oronzo porta alla chiesa di Santa Croce: tale via è ancora oggi chiamata via dei Templari.
Con l’avvio delle inquisizioni ai danni dei Templari il 25 marzo 1308 Letizio de Inorocato, giudice di Lecce, e Goffredo de Ysaya, notaio, in esecuzione degli ordini ricevuti da Roberto d’Angiò, redigevano l'inventario dei beni che la domus templare di Lecce possedeva oltre che nel territorio della città anche nella pertinenza di Otranto.
Dopo il 1312 la cappella di Santa Maria del Tempio passò ai Gerosolimitani.
Successivamente fu assegnata prima ai Minori Osservanti e poi ai Minori Riformati.

Mareggio

L’unico riferimento alla presenza di un insediamento templare a Maruggio ci è fornito da un atto datato 9 ottobre 1320 che faceva parte dei registri della Cancelleria Angioina andata distrutta e giunto a noi in una trascrizione del secolo XIX ad opera della storico napoletano Camillo Minieri Riccio.
In tale documento è riportato: “Casale Marigii, quod fuit q.
m.
Templarium” ossia che il che il casale di Maruggio un tempo fu proprietà dei cavalieri del Tempio.
Di altre notizie non disponiamo.
La studiosa Bianca Capone si è occupata ampliamente di Maruggio e fa una ricostruzione storica molto dettagliata.
Nei registri di Carlo I d’Angiò viene riportato che la famiglia De Marresio era feudataria di Maruggio, ove si trovava un commenda gerosolimitana, senza ulteriore specificazione.
La denominazione gerosolimitano, trattando di ordini monastico-cavallereschi, viene di solito attribuita ai Giovanniti.
La Capone sostiene che nel caso di Maruggio si sia fatta confusione fra Giovanniti e Templari, anch’essi di fatto gerosolimitani, poiché il loro ordine venne fondato a Gerusalemme (Ordine del Tempio di Gerusalemme).
I De Marresio ottennero il feudo di Mareggio in epoca normanna, probabilmente dopo il 1130, quando Ruggero II unificò il ducato di Puglia e di Calabria dando vita al Regno di Sicilia.
Era questo il periodo di ascesa dell’Ordine del Tempio e, secondo la Capone, i De Marresio consentirono ai Templari di fondare una mansione nel proprio feudo, o, addirittura, concedettero loro in affitto il casale con l’annesso castello.
Tra le attività svolte dai cavalieri a Maruggio sono da ricordare i lavori di bonifica e di prosciugamento dei terreni paludosi che circondavano la zona, nonché l’estrazione del sale dalle acque degli stagni costieri.
Nel marzo 1308 anche i Templari di Maruggio furono arrestati e approfittando di ciò Giovanna Caballaro si sarebbe impossessata della mansione templari e dei loro beni o quanto meno li ebbe in custodia dal giudice Pietro Porcario di Aversa, responsabile dei beni templari in Terra d’Otranto.
Nel maggio 1312 papa Clemente V decretò l’assegnazione dei beni dei Templari ai Giovanniti e probabilmente la Caballaro si rifiutò di consegnare il feudo ai nuovi legittimi proprietari: la consegna avvenne solo nel 1317, forse dietro intimidazione di Roberto d’Angiò, e in cambio dell’ingresso nell’Ordine Giovannita del figlio di Giovanna Caballaro, Nicola de Pandis.

In merito all’ubicazione dell’insediamento ci sono due ipotesi: in un edificio nei pressi del luogo in cui, nel XV secolo, i cavalieri di Malta edificarono il proprio castello, oppure, tenendo conto che le domus dei Templari sorgevano lontano dai centri abitati, si può ipotizzare che fosse ubicata presso la Madonna del Verde, cappella del cimitero, e possesso dei Cavalieri di Malta.
La chiesa anticamente era intitolata a Santa Maria del Tempio, come si può anche evincere da una lapide del 1585, quando la chiesa venne ricostruita: “Templum D.
Marie Virgini dicatum vetustate collapsum”, ove D.
starebbe per Domini e con l’espressione Templum Domini di solito ci si riferiva ai Templari.
Non è da escludere che entrambi gli edifici fossero dei Templari e come riscontrato a Vulci, nella Maremma laziale, il precettore e i cavalieri presidiavano il castello, mentre dei sergenti erano insediati presso la Chiesa della Madonna del Verde.
I Giovanniti, divenuti poi cavalieri di Rodi e poi di Malta, ebbero una Commenda a Maruggio sino al 1819.

Oria

Come sottolineato da Bramato la presenza templare in Oria non è suffragata da alcuna testimonianza diretta.
Esiste tuttora una chiesa denominata Santa Maria al Tempio, in passato Santa Maria del Tempio, il cui nome, con l’indicazione “del Tempio”, lascia supporre una fondazione della chiesa da parte dei Templari.
Di tale avviso sono gli autori Capone, Imperio e Valentini.
Tali autori giustificano la presenza templare ad Oria con la sua posizione strategica: è ubicata su una collina che domina la pianura di Lecce, inoltre il centro era dotato anche di un imponente castello voluto da Federico II.
La mansione oretana doveva avere la funzione di difendere il territorio e le popolazioni dei casali circostanti dal pericolo di incursione saracene provenienti dalla costa ionica che dista una ventina di chilometri.

Si ha notizia della chiesa di Santa Maria del Tempio nel 1542 in occasione di un matrimonio in essa celebrato.
Altre informazioni risalgono agli inizi del XVII secolo, quando viene ricordata con il titolo di “Ecclesia Sanctae Mariae del Tempio” nel libro delle visite pastorali.
Il 10 maggio del 1602 il vescovo di Oria monsignor Lucio Fornari si recò alla chiesetta di Santa Maria del Tempio e la trovò “decenter ornata”, tuttavia era priva di altare e il vescovo ordinò un altare portatile ed una croce per potervi celebrare la messa.
Sempre dai documenti relativi alla visita pastorale sappiamo che la chiesa non forniva alcun reddito (nullus habet redditus).
Da tale circostanza può arguirsi che la domus templare di Oria, sempre che sia esistita, con l’abolizione dell’Ordine, non passò ai Giovanniti come spesso avvenne con i beni del Tempio, ma ne venne in possesso la Curia, che ne è a tutt’oggi proprietaria.
Dell’insediamento templare resta solo la chiesetta, ristrutturata nel Seicento.
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